01.f – Challis_Account


XV. An Account of Observations undertaken in search of the Planet discovered at Berlin on Sept. 23, 1846.
By the Rev. James Challis, M.A. F.R.A.S. Plumian Professor of Astronomy and Experimental Philosophy in the University of Cambridge.
Read Nov. 13, 1846.

Sebbene le osservazioni di cui mi accingo a rendere conto non abbiano portato all’annuncio della scoperta di un nuovo pianeta, ritengo che la loro storia possa comunque essere letta con un certo interesse. Credo di essere nel giusto nell’affermare che nessuna operazione sistematica alla ricerca del pianeta recentemente scoperto dal Dr. Galle a Berlino fu intrapresa in alcun osservatorio europeo nello stesso periodo e nella stessa estensione di quello di Cambridge. Credo inoltre che la storia della scienza astronomica non offra un esempio parallelo di un astronomo che intraprendesse quella che avrebbe potuto ragionevolmente essere una ricerca lunga e laboriosa, basandosi esclusivamente su deduzioni tratte da calcoli teorici. Per queste ragioni, e poiché sono in grado di dimostrare che le osservazioni da me registrate hanno finora raggiunto lo scopo per cui erano state intraprese, tanto da essere adeguate alla scoperta del pianeta, ho ritenuto che un resoconto dettagliato di esse non sarebbe stato un contributo inaccettabile alla Royal Astronomical Society.

Le circostanze particolari che portarono all’esecuzione di queste osservazioni furono di un genere così nuovo e così caratteristico del progresso della scienza astronomica, che non posso esimermi dal farvi riferimento, sebbene saranno senza dubbio presentate alla Società con tutti i dettagli che la loro importanza storica richiede. Basti dire che, nel settembre del 1845, il signor Adams, membro del St John’s College di Cambridge, mi consegnò un documento contenente i risultati di calcoli da lui effettuati per spiegare le irregolarità nel moto di Urano, nell’ipotesi di perturbazioni causate da un pianeta più distante. Questi risultati comprendevano la massa, la distanza media, la longitudine media a una data epoca, la longitudine del perielio e l’eccentricità dell’orbita del corpo perturbatore e, ciò che era di fondamentale importanza per l’astronomo pratico, la sua probabile longitudine geocentrica alla fine di settembre. Una comunicazione analoga fu fatta il mese successivo all’Astronomer Royal. Il momento era allora sfavorevole per iniziare le operazioni alla ricerca del presunto pianeta, a causa della sua distanza angolare dall’opposizione. Non nasconderò, tuttavia, che questa non fu, per quanto mi riguarda, l’unica ragione per cui non fu fatto alcun tentativo quell’anno. Era una cosa così nuova intraprendere osservazioni basandosi semplicemente su deduzioni teoriche – mentre il lavoro era certo, il successo appariva così incerto – che non sorprende che si sia sentita la tendenza a rimandare tali osservazioni ad altre basate su basi meno speculative. Non credo si possa altrimenti spiegare il fatto che per quasi quattro mesi dopo la pubblicazione, all’inizio dello scorso giugno, della prima determinazione da parte di M. Le Verrier della probabile longitudine del pianeta, non sia stato compiuto alcun passo in alcun osservatorio continentale alla sua ricerca. Non so se la stretta corrispondenza tra la determinazione della longitudine di M. Le Verrier e quella precedentemente ottenuta da Mr. Adams abbia indotto l’Astronomo Reale a suggerirmi l’impiego del telescopio Northumberland di questo osservatorio in un tentativo sistematico di scoprire il pianeta. Posso tuttavia affermare che questa prova concomitante della realtà del corpo perturbatore, derivante da due indagini indipendenti, ha avuto un forte peso nella mia decisione di intraprendere le osservazioni, nonostante l’enorme mole di lavoro che avrebbero potuto comportare. Il suggerimento di Mr. Airy fu formulato in una nota datata 9 luglio 1846. Le osservazioni furono iniziate il 29 luglio, tre settimane prima che il pianeta entrasse in opposizione. Dopo queste affermazioni preliminari, mi propongo ora di descrivere il mio piano operativo e i metodi di osservazione, per poi fornire un resoconto delle osservazioni stesse e dei loro risultati.

Poco dopo la data della nota sopra menzionata, ricevetti dall’Astronomo Reale un documento intitolato “Suggerimenti per l’esame di una porzione del cielo alla ricerca del pianeta esterno che si presume esista e produca perturbazioni nel moto di Urano”. In tale documento si raccomandava di esaminare una zona zodiacale con centro sull’eclittica a 325° di longitudine, poiché le ricerche del signor Adams e del signor Le Verrier avevano reso probabile che la posizione del presunto pianeta non fosse lontana da quella posizione. L’estensione proposta della zona era di 15° di longitudine in ciascuna direzione dal punto centrale e di 5° di latitudine nord e sud. Questo spazio era suddiviso in intervalli di declinazione di 1° di larghezza, e l’estensione in ascensione retta era indicata per ciascun intervallo, in modo da rendere facile accertare per interpolazione l’estensione in ascensione retta corrispondente a una data declinazione. Il signor Airy raccomandò inoltre di utilizzare un potere di ingrandimento non inferiore a 120, e stimò che l’ampiezza della zona che tale potere avrebbe potuto comprendere fosse di 15′. I transiti dovevano essere rilevati su un singolo filo verticale, e le distanze del polo nord dovevano essere stimate per mezzo di diversi fili orizzontali separati da intervalli di 3′, essendo la precisione della distanza del polo nord meno importante della precisione dell’ascensione retta. L’intera area sopra indicata doveva essere percorsa almeno tre volte, terminando una perlustrazione prima di iniziare la successiva. Le magnitudini delle stelle dovevano essere sempre annotate. I risultati di ogni perlustrazione dovevano essere catalogati e riportati su carte nautiche. Secondo questo piano, si calcolò che ci sarebbero state ottanta zone con una durata media di un’ora, e che le tre perlustrazioni avrebbero occupato 300 ore di osservazione.

Il mio piano operativo fu elaborato essenzialmente sulla base delle raccomandazioni di cui sopra. Non fui dissuaso dall’impresa dall’entità del lavoro previsto, poiché in quel momento mi sembrava necessario non di meno per garantire il successo della ricerca. In alcuni particolari, la mia esperienza nell’uso del telescopio Northumberland e la natura dell’apparato più alla mia portata mi indussero a discostarmi dalle raccomandazioni del signor Amy. Ad esempio, usai un potere d’ingrandimento di 166, avendo constatato che questo potere, per qualche ragione, probabilmente dovuta alla larghezza delle matite emergenti, era più confortevole per la visione attraverso il grande rifrattore rispetto a un potere inferiore. Questo era anche il potere minimo che potevo applicare all’oculare micrometrico. L’ampiezza della zona che poteva essere ben compresa da esso non superava i 9′. I transiti furono rilevati sul bordo dentato del pettine del micrometro, che accertai essere perfettamente rettilineo e che veniva sempre accuratamente regolato per le osservazioni di ogni giorno. Le letture della declinazione erano rivoluzioni intere e parti di rivoluzione del micrometro, prese dal pettine e calcolate in senso ascendente e discendente per una maggiore facilità di numerazione, con la direzione indicata da + e -. Le parti di rivoluzione venivano stimate al quarto, tramite gli intervalli tra i denti del pettine, e occasionalmente al decimo, quando la stella era di notevole luminosità. Una rivoluzione micrometrica equivale a 17″. L’errore di una singola lettura della declinazione non poteva in questo modo superare i 4″.

Il limite relativo alla magnitudine delle stelle fu determinato come segue: dopo aver illuminato il campo visivo a sufficienza per mostrare il pettine per la rilevazione dei transiti, si osservava ogni stella che non fosse troppo debole per essere vista con quel grado di illuminazione. Questo limite includeva stelle di 11a magnitudine. Rilevando stelle di quell’ordine di magnitudine, scoprii che, sebbene l’ampiezza di ciascuna zona non fosse superiore a 9′, esse si susseguivano in una successione così rapida che nelle notti buie raramente si verificavano interruzioni nella registrazione delle osservazioni. Accadeva spesso, quando le stelle si presentavano in gruppi, che alcune venissero necessariamente lasciate passare senza annotare la loro posizione. Non di rado accadeva, quando anche le stelle erano più sparse, che diverse, di un grado di luminosità che era preferibile non lasciar passare, avessero quasi la stessa ascensione retta; e in tali casi o non era possibile rilevarle tutte, oppure, se si tentava, nella fretta delle osservazioni c’era grande probabilità di commettere errori. Per ovviare a questi inconvenienti e rendere la ricerca più completa, ho adottato un metodo di osservazione supplementare, suggerito da una particolare disposizione dell’apparato equatoriale del Northumberland, e che, poiché differisce in linea di principio dai metodi solitamente impiegati nella mappatura delle stelle, descriverò più in dettaglio.

Nel primo dei due metodi di osservazione sopra menzionati, il telescopio era perfettamente fermo, senza muoversi né in angolo orario né in declinazione. Nell’altro, il telescopio, con sistema di riferimento polare e cerchio orario, era mosso da un movimento di orologio quasi alla stessa velocità del tempo di lettura laterale, ma non si muoveva in declinazione. Distinguerò i due metodi dicendo “telescopio fisso” e “telescopio in movimento”. Quando il telescopio era fermo, avevo un assistente che mi aiutava a registrare le osservazioni. Sedeva a un tavolo con il taccuino e il cronometro davanti a sé, e il suo compito era quello di iniziare a contare dal cronometro al segnale ricevuto, e di annotare l’ora del transito, la lettura della declinazione e la magnitudine della stella, man mano che le fornivo, insieme a eventuali osservazioni occasionali che le osservazioni sembravano richiedere. Il metodo di osservazione con il telescopio in movimento veniva effettuato mediante una vite tangente fissata al telaio polare e una maniglia che si estendeva fino al sedile dell’osservatore, consentendogli di muovere il telaio polare e il telescopio rispetto al cerchio orario, mentre il cerchio orario, il telaio polare e il telescopio erano sostenuti dal movimento dell’orologio. È chiaro che in questo modo le stelle potevano essere portate con calma fino al bordo dentato del pettine su cui venivano tracciate le bisezioni, senza il rischio che passasse una stella che si riteneva opportuno catturare. Questo metodo, tuttavia, richiedeva la lettura del cerchio orario, con la quale, di fatto, venivano misurate le differenze di ascensione retta; e per effettuare le osservazioni con comodità e rapidità, era necessario l’aiuto dei miei due assistenti, il signor Morgan e il signor Breen. Il signor Morgan annotò, a un segnale, prima il tempo di bisezione del cronometro (che non era richiesto con molta precisione), poi la lettura della declinazione e della magnitudine della stella, così come le avevo fornite, e, infine, la lettura del cerchio orario fornita dal signor Breen. Invece di bisecare le divisioni del cerchio orario, era più comodo bisecare le divisioni di un piccolo arco graduato, che ero in grado di fissare al cerchio orario, avendo ben determinato gli intervalli tra le sue divisioni. I tempi del cronometro erano necessari per correggere le differenze di ascensione retta misurate dal cerchio orario per la velocità del cerchio orario. Sembrerà che in ciascuno di questi metodi l’occhio dell’osservatore non fosse tenuto a lasciare l’oculare, e che nel secondo metodo la registrazione delle osservazioni potesse continuare senza interruzioni, indipendentemente dal raggruppamento delle stelle.

Dopo aver sperimentato questi metodi, ho scoperto che con il telescopio in movimento catturavo più stelle nella stessa porzione di cielo rispetto al telescopio fisso, ma che ne catturavo meno nello stesso tempo; quindi il primo metodo impiegava un tempo considerevolmente più lungo per percorrere una determinata porzione di cielo rispetto al secondo, ma la percorreva in modo più completo. Avendo constatato che ciò era vero, e tenendo conto anche delle interruzioni causate dalla carica dell’orologio e dalla regolazione della vite tangente quando questa era arrivata al limite, ho deciso di procedere come segue: in primo luogo, percorrere la zona che si proponeva di esaminare, o una porzione di essa alla volta, con il telescopio fisso, catturando quante più stelle possibile senza il rischio di errori dovuti alla troppa fretta, e poi percorrere la stessa porzione con il telescopio in movimento. In questo modo non ci sarebbe stata possibilità di errore dovuta a irregolarità o interruzioni nel movimento dell’orologio, poiché il primo movimento avrebbe sempre fornito un numero sufficiente di punti di riferimento per determinare la velocità dell’orologio in qualsiasi momento per il secondo movimento. Inoltre, poiché ci si poteva aspettare che la seconda ricognizione includesse tutte le stelle contenute nelle prime, era probabile che l’oggetto per il quale erano state intraprese le osservazioni sarebbe stato raggiunto dalla seconda ricognizione, senza la necessità di una terza. Se, tuttavia, fosse andata diversamente, intendevo ripercorrere il tratto una terza volta; e, se questo esame si fosse rivelato infruttuoso, avrei avuto solo la soddisfazione di mappare una certa porzione del cielo in modo da includere stelle fino all’undicesima magnitudine, e tutte più luminose, in modo più perfetto rispetto a qualsiasi precedente impresa di questo tipo.

Per completare il dettaglio dei metodi di osservazione, è necessario menzionare alcuni ulteriori particolari. Nelle notti di forte chiaro di luna, in cui le stelle più deboli non erano visibili, si adottava esclusivamente il metodo di osservazione con il telescopio fisso. Quando accadeva (come spesso accadeva) che una nube si avvicinasse e oscurasse il campo visivo, lasciavo immediatamente il mio posto, se il telescopio in quel momento era fisso, e facevo partire l’orologio, ordinando al contempo al mio assistente di tracciare una linea che separasse le osservazioni precedenti a tale evento da quelle successive. Riprendendo le osservazioni dopo che la nube si era dissolta, l’ultima stella presa prima dell’interruzione era la prima della nuova serie. Se la stessa cosa accadeva con il telescopio in movimento, era sufficiente rimanere inattivi finché la nube non fosse passata; l’osservazione della stella presa appena prima che la nube si avvicinasse veniva, tuttavia, generalmente ripetuta. Allo scopo di determinare con precisione le posizioni delle zone, venivano prese stelle di riferimento in ogni serie. Per spiegare come ciò sia stato fatto, è necessario affermare che l’equatore del Northumberland non ha un cerchio di declinazione, e la regolazione del telescopio alla distanza del polo nord è effettuata tramite aste graduate. Rimanendo in posizione l’asta, il telescopio, grazie a un dispositivo appropriato allo scopo, è mobile alla distanza del polo nord di 80′, e archi di tale estensione possono essere misurati mediante un arco di settore graduato e un micrometro da microscopio. Quando, quindi, guardando nel cercatore, si vedeva una stella entro la portata del settore, e abbastanza luminosa da essere probabilmente presente nei cataloghi standard, ruotando la testa fresata del settore, questa veniva portata nel campo visivo del grande telescopio; veniva quindi accuratamente bisecata da un filo micrometrico fisso, se ne rilevava un passaggio e si leggeva il valore sul micrometro da microscopio a settore. Il telescopio veniva poi accuratamente riportato nella sua posizione precedente mediante l’arco di settore e il suo micrometro da microscopio. Dopo aver annotato le letture del cerchio orario e dell’asta di declinazione, e aver accertato l’errore del cronometro confrontandolo con l’orologio dei transiti, fu facile identificare la stella di riferimento. In un’occasione le osservazioni furono condotte interamente nel modo appena descritto, muovendo il telescopio in declinazione verso l’alto e verso il basso di 80′, mentre lo strumento era immobile attorno all’asse polare. In questo caso furono selezionate solo stelle più luminose, intese come punti di riferimento per le osservazioni in zone ristrette.

Sarà opportuno spiegare qui perché non si sia fatto uso dell’ora XXI delle mappe stellari di Berlino. L’unica ragione che posso addurre è che ignoravo completamente la sua pubblicazione. In una nota datata 21 luglio, il signor Airy osservava che solo una piccola parte delle mappe di Berlino si applicava a questa indagine. Di conseguenza, ho trovato, nella biblioteca dell’Università di Cambridge, l’ora XXII, che si estende su una piccola parte dello spazio destinato all’esame; ma non ho trovato l’ora XXI e di conseguenza ho concluso che non fosse stata pubblicata. Se avessi avuto questa mappa, una prima perlustrazione sarebbe stata superflua; avrei dovuto confrontare le mie osservazioni con la mappa non appena le registravo. Dopo aver così reso conto del piano operativo, procedo alle osservazioni vere e proprie. Come già detto, ho iniziato le osservazioni il 29 luglio. Le prime osservazioni sono state effettuate per la maggior parte per provare diversi metodi di osservazione; Ma, per non sprecare alcuna possibilità di individuare il pianeta, ho ritenuto opportuno fin dall’inizio puntare il telescopio verso la parte del cielo che la teoria aveva indicato come la posizione più probabile. Nel fare ciò, mi sono fatto guidare da un documento redatto per me dal signor Adams, che ho trovato di grande aiuto. Questo documento conteneva le ascensioni rette e le declinazioni del pianeta (calcolate supponendo il suo movimento lungo l’eclittica, ma per il resto basate esclusivamente su dati teorici) per ogni ventesimo giorno dal 20 luglio all’8 ottobre e per ogni quinto grado di longitudine eliocentrica da 315° a 335° inclusi. Ho selezionato come guida le posizioni corrispondenti a 325° di longitudine, che, ritengo, meritino di essere registrate qui. |||

Dalle osservazioni del 29 luglio, mi resi conto che non sarebbe stato possibile includere, con il metodo dei transiti a telescopio fisso, tutte le stelle che allora mi sembrava desiderabile osservare, e di conseguenza, il 30 luglio, sperimentai il secondo metodo, in cui il telescopio e la montatura polare venivano trasportati tramite un movimento a cavalletto. Le osservazioni successive furono effettuate il 4 agosto, giorno in cui il telescopio fu mosso in declinazione dalla testa fresata del settore, nel modo già descritto, con la lettura dell’asta di declinazione rimasta la stessa del 29 e 30 luglio. Lo scopo specifico di queste osservazioni era quello di ottenere punti di riferimento per fissare le posizioni delle zone di 9′ di larghezza, e furono effettuate con una precisione superiore al solito, le stelle furono tutte accuratamente bisecate dal filo micrometrico e i transiti furono rilevati nella stessa parte del campo. L’unica fonte di imprecisione fu la modalità di lettura del micrometro del microscopio a settore. Il numero intero di giri micrometrici è stato rilevato come di consueto dal pettine, ma, per risparmiare tempo, le parti di un giro sono state stimate con una precisione di un quarto tramite ispezione degli intervalli tra i denti del pettine. Poiché il valore di un giro è di 10″, non credo che si possa commettere un errore superiore a 3″ in questo modo in una singola lettura.

A causa della luce lunare e delle condizioni meteorologiche avverse, le osservazioni successive non furono effettuate prima del 12 agosto. Quel giorno il telescopio era fisso e le stelle furono osservate in una zona di 9′ di larghezza, con la stessa posizione del 30 luglio, ma con una maggiore estensione in ascensione retta. Poco dopo (probabilmente il giorno successivo, ma, non avendo alcun promemoria dell’epoca, non posso dirlo con certezza), effettuai un confronto parziale di queste osservazioni con quelle del 30 luglio, allo scopo di testare l’efficacia del metodo di osservazione con il telescopio in movimento. Nel confronto che feci, scoprii che ogni stella osservata il 12 agosto con il telescopio fisso era inclusa nelle stelle osservate il 30 luglio con il telescopio in movimento. Questo risultato mi convinse dell’adeguatezza di questo metodo per l’oggetto che avevo in vista. Avendo ottenuto, grazie a queste osservazioni preliminari, un’idea piuttosto precisa della velocità con cui il lavoro avrebbe presumibilmente proseguito, effettuai successivamente osservazioni in ascensione retta anticipata, allo scopo di poter esplorare, nell’anno in corso, la maggior porzione possibile dello spazio. Le osservazioni proseguirono per due mesi, sfruttando ogni opportunità disponibile, e furono effettuate principalmente con il telescopio fisso; ma anche il terreno fu parzialmente esplorato con il telescopio in movimento. Il 29 settembre lessi per la prima volta la comunicazione fatta da M. Le Verrier all’Accademia delle Scienze di Parigi il 31 agosto, in cui raccomandava espressamente di tentare di individuare il pianeta tramite la comparsa di un disco. Il signor Adams aveva scoperto, attraverso le sue ricerche, che la massa era circa tre volte quella di Urano, e da questo risultato aveva dedotto che la sua luminosità non sarebbe stata inferiore a quella di una stella di nona magnitudine. Questa conclusione mi fu comunicata durante una conversazione, perché mi guidasse nella mia ricerca. Tuttavia ho continuato, come avevo iniziato, a includere stelle di magnitudine 11.

La generale concordanza dei risultati di M. Le Verrier sulla massa e l’orbita del pianeta sconosciuto con quelli di M. Adams, a me già noti, mi ispirò una rinnovata fiducia nelle deduzioni teoriche e mi indusse a modificare il mio piano operativo. La sera del 29 settembre, percorsi una considerevole estensione in declinazione, entro i limiti di longitudine indicati da M. Le Verrier, decidendo, se possibile, di includere anche il pianeta. La notte fu favorevole; osservai senza interruzione per tre ore e mezza e registrai le posizioni di quasi 300 stelle, prestando particolare attenzione all’aspetto fisico delle stelle più luminose. Solo una attirò la mia attenzione, contro la quale ordinai al mio assistente di annotare: “Sembra avere un disco”. La notte successiva non furono effettuate osservazioni, a causa della presenza della Luna; e il 1° ottobre ricevetti la notizia della scoperta fatta dal Dr. Galle il 23 settembre. Così i miei lavori giunsero al termine. Il numero totale di posizioni che ho registrato è superiore a 3000; sono contenute solo in una piccola porzione dello spazio che si intende esplorare e si riferiscono per la maggior parte a stelle di magnitudine molto piccola. Avevo già preparato la mappatura delle posizioni delle stelle, ma al momento ritengo che non valga la pena riprendere questo lavoro. Mi resta ora da menzionare alcuni risultati deducibili dalle osservazioni.

Dopo aver ricevuto il resoconto della scoperta del Dr. Galle, mi resi presto conto che la stella che aveva attirato la mia attenzione il 29 settembre era il pianeta. La sua posizione, dedotta da una stella nota presa nella stessa serie, ovvero B. A. C. 7599, era la seguente: ||| Questa posizione non è indicata come avente alcuna pretesa di accuratezza, ma come una verifica, dotata di un certo interesse storico, della notevole previsione di M. Le Verrier, secondo cui il pianeta era rilevabile con buoni telescopi grazie al suo aspetto fisico. Esaminando le mie prime osservazioni, ebbi il grande dispiacere di scoprire che, se avessi completato il confronto tra le osservazioni del 30 luglio e del 12 agosto, avrei scoperto il pianeta e mi sarei risparmiato ogni ulteriore fatica. Al primo esame, scoprii che ogni stella, fino alla numero 39 della serie presa il 12 agosto con telescopio fisso, era presente nella serie presa il 30 luglio con telescopio in movimento. Se fossi passato al numero 49, avrei scoperto che mancava una stella di magnitudine 5 nell’ultima serie. Secondo il principio di ricerca, non poteva trattarsi di altro che di un pianeta: era entrato nella zona nell’intervallo tra il 30 luglio e il 12 agosto. L’unica ragione che ora posso addurre per non proseguire il confronto è che le osservazioni furono interrotte al numero 39 da una nube, l’orologio fu messo in moto e una linea di separazione fu tracciata sul quaderno. Proseguii fino a questa linea e non oltre.

opo aver dedotto la posizione del 12 agosto, mi sono reso conto di averne registrata un’altra il 4 agosto; in quel giorno, come ricorderete, le stelle rilevate dovevano servire da punti di riferimento per altre osservazioni. Per essere completamente sicuro di questa seconda posizione, ho poi puntato il telescopio verso quel punto del cielo e ho scoperto che ora non si vede alcuna stella. Da quanto precede, apparirà chiaro che è bastato procedere di poco nella mappatura delle posizioni registrate delle stelle per individuare il pianeta. Ho rimandato l’operazione, in parte perché ero impegnato con le riduzioni delle comete, e in parte per l’impressione che avevo che fosse necessaria una lunga ricerca per garantire il successo. Confesso che, nell’intera impresa, avevo troppa poca fiducia nelle indicazioni della teoria, sebbene forse non meno di quanta ne avrebbe avuta la maggior parte degli astronomi nelle stesse circostanze. Poiché le posizioni del pianeta il 4 e il 12 agosto sono le più antiche mai registrate, per quanto ne sappiamo finora, ho ritenuto opportuno riportarle con la massima accuratezza consentita dalla natura delle osservazioni. Attualmente hanno un valore che perderanno quando osservazioni accurate saranno state condotte per un periodo più lungo. Propongo, pertanto, di riportare le posizioni risultanti dai confronti con tutte le stelle note prese nella stessa serie, e di considerare la media dei risultati come la migliore determinazione possibile.

||| Non sapendo se sia da preferire la posizione di Bessel di 50 Capricomi o quella del Catalogo della British Association, ho adottato la media delle due, che concorda molto bene con la posizione di Piazzi. Prendendo la media di tutte le determinazioni nei rispettivi giorni, trovo le seguenti posizioni del pianeta: ||| Gli errori di ascensione retta probabilmente non sono maggiori di quelli incidentali alle determinazioni tramite singoli transiti. Dalle stime già effettuate, l’errore della distanza polare nord nella media dei risultati di tutte le stelle di confronto può ammontare a 3″ il 4 agosto e a 4″ il 12 agosto. Va notato che, in quest’ultimo giorno, le parti della rivoluzione micrometrica nell’osservazione del pianeta sono state stimate a un decimo, e non, come in generale, a un quarto, il che implica una maggiore attenzione del solito nell’esecuzione dell’osservazione. Per dare un’idea del peso da attribuire alla posizione del 12 agosto, ho calcolato l’ascensione retta e la distanza polare nord di 75 Aquarii con lo stesso procedimento con cui ho ottenuto la posizione del pianeta, e ho confrontato i risultati con l’ascensione retta e la distanza polare nord del Catalogo della British Association. La differenza di ascensione retta era di 0,23 secondi, e quella di distanza polare nord di 3,43 secondi.

Poiché le posizioni sopra menzionate sembravano degne di fiducia, il signor Adams le utilizzò, insieme alle recenti osservazioni che si estendevano fino al 13 ottobre, per approssimare alcuni elementi dell’orbita del pianeta. I seguenti sono gli unici risultati che i dati hanno permesso di ottenere con un certo grado di certezza: ||| L’uso immediato che abbiamo fatto di questi risultati è stato quello di cercare di trovare osservazioni incidentali del pianeta nei cataloghi di stelle esistenti. La ricerca finora non ha avuto successo. La probabile posizione del pianeta alla data dell’Histoire Céleste è ora troppo vicina al sole per consentire di accertare, mediante osservazione diretta, se un luogo sia registrato in quel catalogo. Nel concludere questa narrazione, prego di richiamare l’attenzione in particolare sul metodo di osservazione, che ho designato con i termini “telescopio in movimento”. Ne ho fornito una descrizione dettagliata, convinto dell’utilità, e persino della necessità, di questo metodo o di un metodo equivalente, qualora le esigenze dell’astronomia richiedessero la registrazione delle posizioni approssimative di tutte le stelle con una certa magnitudine. Nel corso delle osservazioni oggetto di questa comunicazione, il fatto che le stelle siano generalmente disposte in gruppi piuttosto che distribuite uniformemente negli spazi celesti, è emerso molto frequentemente, e mi ha profondamente colpito l’importanza di impiegare un metodo come quello che ho descritto, come supplemento al metodo ordinario dei transiti.
J. CHALLIS. Cambridge Observatory, Nov. 12, 1846.