01.10.03 – Schiaparelli


Nathaniel Everett Green (1823-1899) era un pittore di ritratti (un tempo aveva dato lezioni di pittura alla Regina Vittoria). Appassionato astrofilo, fece diligenti osservazioni con il suo riflettore newtoniano da 33 cm installato nell’isola di Maderia (luogo rinomato per il suo seeing). Osservò Marte dal 16 al 30 maggio 1873, e in Astronomical Register11 (1873) {A-0178.0011_.0127.18730700-0179_0181} p. 179-181  diede una scelta di 6 disegni e una mappa tratta da essi; Flammarion Durante l’opposizione del 1877, Green fece 41 disegni di Marte fra agosto e settembre (lavorando in media 2 ore per ognuno), e ne scelse 12 per la pubblicazione. Per ottenere la massima fedeltà della riproduzione, preparò lui stesso le pietre per la stampa. Pubblicò “Observation of Mars at Madeira, August and September 1877”, MNRAS, 38, {A-0075.0038_.0001.18771109-0038_0042} p. 38 . Successivamente, pubblicò “Observations of Mars, at Madeira, in August and September 1877,” Memoirs of the Royal Astronomical Society 44 (1879) {A-0009.0044_.0000.18790000-0123_0140} p. 123-140 Tavole a colori Nei primi giorni di settembre, Green vide le nevi australi ritirarsi lasciando dei lembi isolati che continuavano a splendere vivamente: le figure mostrano la situazione al 1° e 8 settembre. Con emozione, egli immaginò il disfarsi dei depositi nevosi nelle valli fonde e il loro persistere sulle alte vette spazzate da venti freddissimi. Ricordandosi che già nel 1845 Mitchel aveva osservato qualcosa del genere, chiamò Monti Mitchel le vette antartiche. [In realtà, osservazioni delle sonde spaziali mostrano che invece quelle zone sono depresse rispetto al terreno circostante.] Più tardi, i Monti Mitchel divennero Novissima Thyle Mons Argenteus. Notò inoltre zone più luminose al lembo e al terminatore, che identificò correttamente come nubi mattutine e serali.
Realizzò una nuova mappa con 17 nomi nuovi, oltre ai 47 già esistenti.

Un’altra importante serie di osservazioni fu compiuta dall’inglese Henry Pratt, usando un riflettore da 21 cm. Riportò che Nei momenti di massima definizione i dettagli hanno mostrato un carattere punteggiato piuttosto che striato, e si sono ottenuti scorci di una struttura così complicata e delicata che la matita non può riprodurla, poiché la percezione visiva era troppo transitoria per essere mantenuta. Spesso ciò che a prima vista appariva come una larga striscia indistinta si è risolta, osservando pazientemente i momenti migliori, in diverse masse separate di ombreggiatura che racchiudevano porzioni più chiare piene di settagli molto delicati. [“Notes on Mars, 1877,” Monthly Notices of the Royal Astronomical Society 38 (1877-78) {A-0075.0038_.0002.18771214-0061_0063} p. 61-63

Ma di gran lunga il più importante sviluppo dell’opposizione 1877 – dopo la scoperta dei satelliti – fu lo studio della superficie di Marte compiuto da Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910), che divenne il maggiore esperto nel ramo per i successivi due decenni.
Giovanni Virginio Schiaparelli nacque a Savigliano (CU) e sin da bambino fu interessato all’astronomia, che studiò prima privatamente, poi con una specie di borsa di studio. Dal 1860 fu secondo astronomo all’Osservatorio di Brera, dal 1862 ne fu direttore. Si era fatto conoscere per aver dimostrato che le meteore di Agosto derivano dalla cometa Swift-Tuttle (1862 III). Nel 1874 nel Palazzo di Brera fu installato un rifrattore di Merz (un successore di Fraunhofer) da 22 cm, con il quale Schiaparelli misurò le stelle doppie (11000 in 25 anni).
Nelle osservazioni telescopiche Schiaparelli dimostrava una vista molto acuta e inoltre, avendo studiato da architetto, era esperto nel disegno. Come lui scrisse, ciò gli dava l’abilità “di trascrivere rapidamente sulla carta le impressioni quasi cinematiche delle figure osservate nel campo del telescopio”. [Giovanni Cossavella, L’Astronomo Giovanni Schiaparelli (1914) p. 10] Tuttavia, era fortemente miope, e soffriva inoltre di una forma di daltonismo. Egli scrisse: “Non mi arrischio a dire molto, primo perché il vetro del nostro obiettivo colora i raggi di verde, secondo perché il mio occhio è fortemente affetto da daltonismo: così, io non distinguo bene le gradazioni dei colori rosso e verde. L’aspetto generale del pianeta per me fu quasi quello di un chiaroscuro fatto con inchiostro di China su di uno sfondo generalmente brillante…” [Memoria I, p. 164]
Oggi sappiamo che la cecità ai colori rosso e verde è dovuta alla mancanza del fotopigmento dei coni per le lunghezze d’onda lunghe; chi soffre di tale mancanza ha una visione deficiente di tutti i colori, anche se la differenza è soprattutto nel rosso (e nel colore complementare, verde), per cui generalmente i colori appaiono poco o per niente distinguibili dal grigio. La loro visione dei colori è migliore per il giallo, anche se con una perdita di sensibilità. D’altra parte, il daltonismo porta ad una maggiore sensibilità ai contrasti, un fatto che ben può aver contribuito alla “micrometric keeness” (secondo la definizione di T.W.Webb) della vista di Schiaparelli.

Nel 1877 Schiaparelli decise di approfittare dell’opposizione favorevole di Marte per testare il piccolo ma pregevole rifrattore Merz (Schiaparelli compì in seguito importanti ricerche anche su Mercurio e Venere, qui non verranno descritte). La sera del 23 agosto dopo aver osservato un’eclisse di Luna, Schiaparelli decise di concedersi un po’ di riposo osservando Marte, e ne realizzò uno schizzo alle 21h 43m (ora siderale). Il commento al disegno fu significativo: Ho tentato di fare un disegno di Marte, ma vidi essa cosa difficile e d’altri omeri soma che i miei. La macchia polare di sopra pareva un’ellisse completa; la parte inferiore del disco era rosa e uguale….
Ciò che vide su Marte, sia pure ancora confusamente, deve aver destato in lui un grande interesse, perché, nonostante predisponesse minuziosamente i propri programmi di osservazione e ad essi fosse molto fedele (pratica a cui lo Schiaparelli deve la grande messe di risultati ottenuti), ritornò su Marte il 28 agosto, tracciandone un altro disegno. Già in questi schizzi, i primi da lui fatti, sono segnate su Marte alcune macchie e nel secondo di essi già comincia, forse, ad apparire schematicamente quella che egli poi chiamerà «la Gran Sirte». Probabilmente, l’astronomo di Brera non immaginava che si sarebbe occupato di Marte sino all’ultimo anno di vita; avrebbe descritto i risultati delle sue ricerche in ben 7 memorie, pubblicate dalla Reale Accademia dei Lincei. La Memoria I fu presentata alla seduta del 5 maggio 1878 dell’Accademia; fu stampata come un libro a sé stante “Osservazioni astronomiche e fisiche sull’asse di rotazione e sulla topografia del pianeta Marte: fatte nella Reale Specola di Brera in Milano coll’equatoriale di Merz durante l’opposizione del 1877” {B-0527.00_.1878} , e anche all’interno di Atti della R. Accademia dei Lincei anno CCLXXV – 1877-78 Serie III – Memorie della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali – volume II, {A-0106.C0002_.0001.18780000-0308_0437}
È bene notare una inesattezza di data sfuggita a Schiaparelli: egli datò con «settembre 1877», anziché con «agosto 1877» la prima osservazione su Marte. Del resto egli stesso si accorse dell’errore e lo corresse: in una copia a stampa della sua prima Memoria su Marte, dove è scritto come inizio delle osservazioni «settembre», egli cancellò la parola segnando in margine «agosto». Ecco il suo racconto delle sue prime osservazioni su Marte.

{A-0106.C0002_.0001.18780000-0308_0437} p. 308 1. Quando nel settembre [agosto] 1877, presentandosi Marte in una delle sue più favo- revoli opposizioni, io diressi l’attenzione su questo pianeta, non era da principio mio intendimento consacrare ad esso una serie continuata e regolare di osservazioni. Io desiderava soltanto esperimentare, se il nostro Refrattore di Merz, il quale aveva dato così buon saggio di sè sopra le stelle doppie, possedesse anche le qualità ottiche opportune ad aiutare lo studio della superficie dei pianeti. Desiderava pure verificare per propria esperienza quanto nei libri d’Astronomia descrittiva si suole narrare sulla superficie di Marte, sulle sue macchie, e sulla sua atmosfera. Devo confessare, che comparando l’aspetto del: pianeta colle carte che ne furono pubblicate negli ultimi tempi, i primi saggi non riuscirono molto incoraggianti. Io ebbi la sfortuna di fare le prime osservazioni su quelle parti delle superficie di Marte che da tutti finora son state considerate come le più difficili e le più dubbiose: cioè sulle regioni designate nelle carte annesse a questa Memoria col nome di Mare Eritreo (vedi Tav. III e IV), e sopra quelle altre, che subito dopo del Mare Eritreo si presentano all’osservatore per effetto della rotazione diurna del pianeta. Da principio non seppi orientarmi affatto: e soltanto più tardi con qualche difficoltà pervenni a riconoscere sul pianeta alcuna delle forme notate su quelle carte. Quando però cominciai ad esaminare i bellissimi disegni eseguiti dal prof. Kaiser e dal sig. Lockyer durante l’opposizione del 1862 ed in configurazioni del pianeta quasi affatto identiche a quelle che ebbero luogo nel 1877, vidi con piacere, che i miei disegni in molti particolari essenziali erano rassomiglianti ai loro. Potei convincermi, che malgrado alcune discordanze, io vedeva il pianeta press’a poco com’essi l’avevano veduto; che le differenze apparenti provenivano in somma dal diverso modo d’interpretare le cose osservate; e sopratutto, che sulla topografia del pianeta Marte molto ancora restava da fare, e molto ancora si poteva fare, anche coi mezzi limitati di cui io disponeva. 1l 12 settembre 1877, malgrado che l’opposizione fosse già seguìta il giorno 5 dello stesso mese, deliberai di proseguire le osservazioni in modo da trarne fuori tutto il partito che fosse possibile col dato istrumento e nelle date circostanze. Le condizioni atmosferiche furono tanto favorevoli al mio divisamento, da permettermi di descrivere quasi completamente e con discreta abbondanza di particolari, l’emisfero australe del pianeta, e d’incominciare anche ad abbozzarne con qualche approssimazione quella parte dell’emisfero boreale che giace fra l’equatore e il 40° parallelo nord. L’amplificazione impiegata fu quasi esclusivamente quella del nostro oculare IV positivo, che è di 322 volte. Soltanto in gennaio, febbraio e marzo 1878, essendo il diametro apparente del pianeta ridotto a pochi secondi, ho dovuto impiegare un’amplificazione più forte, che fu quella di 468 corrispondente al nostro oculare V negativo.
2. Il mio intento fondamentale fu di procedere alla descrizione del pianeta non per mezzo di dischi o di ritratti di Marte fatti a misura d’occhio, ma dietro principî e con metodi geometrici. A tal fine da prima determinai di nuovo il fondamento di tutta l’areografia, cioè la direzione dell’asse di rotazione, e il luogo della calotta polare australe. In secondo luogo, appoggiandomi a questa come base definii micrometricamente sulla superficie di Marte un certo numero di punti fondamentali , in modo da poterne dedurre le coordinate di latitudine e di longitudine areografica. Da ultimo, coll’aiuto di questi punti potei compiere senza troppa incertezza la descrizione topografica per mezzo di disegni delle regioni fra i medesimi punti interposte, precisamente come il geografo compie la descrizione di un paese della Terra interpolando a stima i particolari fra i punti geometricamente determinati.
3. Nella presente Memoria ho esposto quanto nell’intervallo compreso fra il settembre 1877 e il marzo 1878 ho potuto fare per eseguire il proposto piano. A ciascuna delle tre operazioni giù sopra enumerate è destinato uno dei tre primi capitoli. Un quarto capitolo riassume le osservazioni di natura fisica, che mi fu dato di fare e contiene inoltre fatti o discussioni relative alla costituzione della superficie del pianeta e della sua atmosfera. Le carte del pianeta, che accompagnano questo scritto, sebbene ancora molto imperfette, sono di gran lunga le più ricche di particolari, che siano state pubblicate: il qual vantaggio in prima linea è dovuto all’eccellente definizione del nostro cannocchiale di Merz. Questo nobile istrumento, malgrado le sue modeste dimensioni [Distanza focale 3m,25: apertura millimetri 218], ha rivelato una gran quantità di minuti oggetti, che nelle opposizioni precedenti erano sfuggiti ai giganteschi telescopi di cui giustamente si vantano le estere nazioni. Non vi è dubbio che molto di più si sarebbe ancora ottenuto, se io avessi potuto usare un cannocchiale simile a quelli che formano oggi ornamento ed orgoglio delle specole di Vienna, di Gateshead e di Washington. Mi contento dunque per ora di presentare quello che mi è stato concesso di ottenere, supplendo fin che ho potuto colla maggior diligenza alla minor potenza ottica dell’ istrumento.
p. 323 26. Volendo fondare la topografia di Marte su basi esatte, conviene seguire lo stesso principio, che si usa per la topografia terrestre. Un certo numero di punti distinti e facili a riconoscere, distribuiti colla maggior possibile uniformità su tutta la superficie del pianeta, si prende come rete fondamentale, e si cerca di ottenerne la posizione colla massima esattezza. Fra questi poi s’interpolano le linee del tracciamento ed i minuti particolari a semplice estimazione d’occhio. La composizione, la misura, il calcolo di una tal rete, e la formazione di un catalogo di latitudini e di longitudini areografiche è il secondo problema che si presenta nella descrizione geometrica di Marte.

Seguendo, pagina per pagina, il registro delle osservazioni dello Schiaparelli, si ha modo di vedere come a poco a poco la figura di Marte vada completandosi passando dai primi disegni con solo qualche macchia, eseguiti nei primi giorni dell’agosto 1877, a quelli dell’ottobre e del novembre, quando ormai il pianeta ha preso il suo aspetto definitivo. Ecco una breve panoramica: 4 settembre ; 13 settembre: denomina una struttura “Italia” ; 20-21 ottobre
Il 12 settembre 1877 Schiaparelli decise di intraprendere un accurato studio allo scopo di realizzare la mappa del pianeta; con misure micrometriche, stabilì le coordinate precise di 62 punti fondamentali della superficie (facilmente identificabili) a partire dalle quali potè ottenere la descrizione topografica delle regioni circostanti (per mezzo di 28 disegni completi e molti schizzi parziali). Il lavoro di rilevazione topografica fu completato il 4 novembre. Determinò la posizione dell’asse di rotazione e confermò la posizione eccentrica della calotta polare meridionale.
Ai primi di novembre dello stesso anno lo Schiaparelli potè trarre dai suoi vari schizzi, fatti sempre, fin dal principio, con mano sicura, il disegno complessivo dell’aspetto di Marte che mandò il 20 novembre a Terby a Lovanio, e il 23 novembre a Struve a Pulkovo. La lettera a Terby iniziava con queste parole: Signore, ecco un aerografo ancora sconosciuto che chiede il suo permesso per presentarle un breve saggio sul suo pianeta preferito.
Ecco un esempio dell’accurata descrizione della superficie di Marte che si trova nella memoria di Schiaparelli.

{A-0106.C0002_.0001.18780000-0308_0437} p. 359 74. Dall’intimo recesso del Golfo dell’Aurora il limite delle terre equatoriali di Marte seguendo il grande diaframma corre prima verso il sud, poi verso l’ovest formando un grandioso e visibilissimo arco, il quale include nella sua concavità la vasta Regione delle Meraviglie (Thaumasia Foelix). Il mare contiguo, che è molto scuro nel Golfo dell’Aurora, va rischiarandosi alquanto a misura che si avanza lungo il detto arco; rimane tuttavia sempre un forte contrasto colla vicina spiaggia. Nella parte concava di quell’arco, quasi al centro di Thaumasia sta una forte macchia nera di circa 10 gradi (poco meno di 350 miglia) di diametro, quasi esattamente rotonda, detta il Lago del Sole nella nostra carta e Lockyer’s Sea in quella di Proctor. Il lato settentrionale e l’occidentale di Thaumasia sono limitati dal già detto Agatodemone, e dal Fasi, procedenti in direzioni opposte dall’oblungo Lago della Fenice, men grande e meno scuro di quello del Sole. In tal guisa la regione Thaumasia costituisce un grande spazio ovale circondato per ogni parte da mari e da canali, nell’interno del quale sta in posizione alquanto eccentrica il Lago del Sole. Tutto quest’insieme produce l’apparenza, notissima agli osservatori, d’un occhio umano, del quale l’Agatodemone e il Fasi sembra costituire il ciglio inferiore, il Lago del Sole forma l’iride e la pupilla, e il grande ed oscuro arco sopradescritto forma un ampio e folto sopracciglio. Il corso verticale dell’Agatodemone fra Thaumasia e l’Aurea Cherso è troppo poco visibile per turbare queste generali apparenze.

Schiaparelli descrisse la sua determinazione dell’asse di rotazione di Marte in una lettera (10 gennaio 1878) pubblicata su Astronomische Nachrichten91 {A-0073.0091_.2178.18780125-0273_0280} p. 273 promettendo una memoria più estesa dopo qualche mese: la Memoria I, che contiene delle splendide tavole , Commento di Flammarion Ecco un lavoro assolutamente notevole, e del quale nessuno degli antichi osservatori avrebbe supposto la possibilità. Servì, per riuscirci, una incrollabile perseveranza, un occhio eccellente, un metodo d’osservazione rigoroso e un buon strumento.
Proprio per la bontà della mappa, Schiaparelli si trovò di fronte ad un dilemma. Nel 1876 Camille Flammarion (1842-1925) aveva fatto pubblicare dall’Accademia delle Scienze di Parigi una mappa che raccoglieva le migliori osservazioni, e adottava una nomenclatura simile a quella di Proctor, ma con dei cambiamenti: per esempio, Flammarion aveva deciso di mantenere il vecchio nome di Mer du Sablier (mare della Clessidra), invece di Kaiser Sea. All’inizio Schiaparelli aveva inteso aderire a questa nomenclatura, ma poi si rese conto che erano necessari dei cambiamenti drastici: alcuni nomi dovevano venire abbandonati, e numerosi altri dovevano venire inseriti per descrivere le numerose strutture che lui aveva visto per la prima volta. I 4 principali “continenti” di Proctor erano in realtà una moltitudine di isole, vari dei suoi “mari” erano spariti o molto ridotti (Main Sea, Dawes Sea), mentre altri si erano aperti. Allora Schiaparelli elaborò una sua nomenclatura, che ora descrivo. Già il 23 novembre 1877 Schiaparelli scrisse al direttore dell’Osservatorio di Pulkovo, Otto Wilhelm (Otto Vasilevič) Struve (1819-1905) che avrebbe desiderato che la questione della nomenclatura di Marte fosse risolta in sede internazionale:

Corrispondenza su Marte, vol.1 {B-0130.01_.1964} p. 7 Questa fertilità di dettagli, che sarebbe stata probabilmente trovata ancora maggiore da osservatori dotati di cannocchiali più considerevoli, mi sembra comporti la necessità di stabilire un sistema di denominazioni per i numerosi oggetti che si possono discernere con distinzione sul pianeta. Questa è una questione che forse potrebbe essere risolta molto bene dalla nostra Società Astronomica, impedendo che Marte venga utilizzato per soddisfare piccole ambizioni, come fecero i signori Proctor e Flammarion.

Il 4 gennaio 1878 Schiaparelli ribadì a Struve che le carte esistenti erano inutilizzabili:

Corrispondenza su Marte, vol.1 {B-0130.01_.1964} p. 12 Conosco molto bene la mappa di Flammarion e la storia della sua origine. Questa mappa, come molte altre creazioni di questo astronomo letterario, è una corrotta imitazione di opere precedenti. Differisce dalla mappa di Proctor solo per i nomi, che sono concepiti secondo lo stesso sistema, ma distribuiti in modo diverso. Le poche correzioni apportate alla mappa di Proctor sono in parte giustificabili, in parte del tutto arbitrarie. E per quanto riguarda i 1000 disegni di Marte che l’autore dice di aver consultato e discusso, non credeteci; non ha fatto altro che rovinare l’Areografia del signor Terby, che gli ha fornito le poche buone correzioni contenute nel suo lavoro.
La mappa di Proctor si basa quasi esclusivamente sui disegni del signor Dawes. Sembra che la maggior parte di questi disegni siano stati realizzati nel 1864, quando il pianeta si trovava quasi esattamente all’equatore. Ne consegue che questa mappa non può costituire un’autorità considerevole per le regioni vicine al polo sud, ed è anche lì che si riscontrano le discordanze più straordinarie. Proctor interpretò i disegni del signor Dawes a modo suo: da masse di nebbia formò isole e continenti. Per giudicare il grado di precisione che egli è riuscito a raggiungere, basti dire che i disegni di Dawes non sono orientati, cioè la posizione dell’asse non può essere assegnata con esattezza.
Le uniche osservazioni che ho riconosciuto come attendibili nella discussione di questioni areografiche sono quelle fatte nel 1862 da MM. Lockyer e Kaiser.

Per quanto riguarda la nomenclatura:

Corrispondenza su Marte, vol.1 {B-0130.01_.1964} p. 10 Per tornare ai nomi delle macchie del pianeta, le invio un’altra copia della mia mappa, con i nomi che ho dato agli oggetti man mano che li scoprivo. Inizialmente avevo intenzione di usare i nomi di Proctor; ma la sua mappa (che è quasi uguale a quella di Flammarion) è così difettosa che ho impiegato molto tempo a orientarmi: alla fine, poiché dovevo scrivere rapidamente nel diario di osservazione ciò che vedevo, e dovevo scrivere in modo da evitare ogni possibilità di ambiguità, ho cominciato a popolare i disegni con i nomi dell’Odissea; e poi ne presi un po’ dagli Argonauti, mescolando a tutto ciò un po’ di geografia mitica e poetica: da ciò risultò la curiosa e disordinata mescolanza che vede. Se vi mando questi nomi è solo per mostrarvi che sono stato abbastanza vicino alla vostra idea di prendere i nomi dall’Iliade; troverete perfino i nomi dei fiumi di Ilion. Ma sono pronto ad adottare qualsiasi nomenclatura che verrà a tempo debito approvata dalla Società Astronomica. Sarebbe bene che qualche studioso dotato di un minimo di gusto estetico si assumesse la responsabilità di sistemare tutto questo nel modo più opportuno.

Cito dalla Memoria I:

{A-0106.C0002_.0001.18780000-0308_0437} p. 347. L’interpretazione dei fenomeni osservati su Marte è cosa. ancora in gran parte ipotetica; essa può differire secondo i diversi osservatori, anche quando i risultati delle loro osservazioni constatano le medesime apparenze. Alcuno potrebbe anzi desiderare che si esponesse semplicemente quando si è veduto, senza far uso di interpretazione alcuna. Questo è assai difficile, per la complicazione che introduce nell’enunciato stesso delle osservazioni. Com’ebbi principiato a scrivere in presenza del cannocchiale il ricordo delle cose vedute, tosto mi avvidi della necessità di dar un nome qualunque a ciascuno degli spazi diversamente colorati, delle linee e dei punti che si osservano sul pianeta. L’insieme delle configurazioni vedute presentava tale stretta analogia con una carta delle regioni terrestri, da non lasciar dubbio alcuno sulla classe di nomi che dovevasi preferire. Qual brevità e chiarezza non induce nello scrivere l’uso delle parole isola, istmo, stretto, canale, penisola, promontorio ecc. Ciascuna delle quali include per sè una descrizione e un insieme di notizie non altrimenti esprimibile che con lunghe perifrasi, da ripetersi ogni volta che si vuol parlare del corrispondente oggetto. La nostra carta dunque, come alcune altre già pubblicate, include un sistema intero di denominazioni geografiche. Le quali possono, da chi nulla voglia pregiudicare sulla natura delle macchie del pianeta, considerarsi come un semplice artifizio per aiutare la memoria e render più breve il discorso. Noi parliamo in simile modo dei mari della Luna, che sappiamo benissimo non esistere come masse liquide.
p. 348. Nelle mie osservazioni io credeva da principio di usare i nomi di Proctor. Ma ben presto nacque la necessità di abolirne alcuni, di sostituirvene altri e di crearne un gran numero di nuovi. Quella nomenclatura era affatto insufficiente per la quantità di nuovi oggetti che era indispensabile nominare in qualche modo, e per le modificazioni profonde che doveva subire. I quattro gran continenti di Proctor sono sminuzzati ora in una moltitudine isole, ed è a credere che questo lavoro di sminuzzamento progredirà ancora. Alcuni di quei mari sono eliminati dalla nostra carta, o ridotti a proporzioni insignificanti (Mare di Main e Mare di Dawes): nuovi e veri mari furono introdotti (Mare delle Sirene, Mare Cronio). Vi è un Oceano intiero (Oceano di Dawes) per cui sulla nostra carta non si trova posto. Grandi isole sono sprofondate al fondo del mare (Isole di Phillips e di Jacob) o ad ogni modo non sono più isole. Dunque per evitare equivoci ed abbagli ho dovuto provvisoriamente creare una nomenclatura speciale per mio proprio uso; e nello stabilirla non ho potuto indurmi a seguire il sistema di nomi personali adottato dal Proctor. Questa mia nomenclatura, fatta mentre stava lavorando al cannocchiale, e quindi probabilmente soggetta a molte imperfezioni, si conserva nella presente Memoria soltanto per poter descrivere in qualche modo quello che si è veduto. Non intendo sollecitare per essa l’approvazione degli Astronomi, nè l’onore di passare nell’uso generale; anzi dichiaro, esser pronto ad adottare più tardi quella, che da sufficienti autorità sarà riconosciuta come definitiva. Fin allora mi si conceda di chiamare con questi eufonici nomi, il cui suono desta nell’animo tante belle rimembranze, un insieme di cose, di cui male la memoria potrebbe ritenere la connessione e la relazione sia per mezzo di numeri o di lettere dell’alfabeto, sia torcendo ad inesatti significati i nomi esistenti sulle carte anteriori.

L’antico greco fondatore della geografia fisica, Dicearco, aveva tracciato una linea che andava dalle colonne di Ercole ad ovest ai Monti Tauro (Turchia) ad est (“il grande diaframma”) attraverso la metà della sua mappa del mondo mediterraneo. Schiaparelli tracciò una analoga linea su Marte che andava dalla cintura di dettagli scuri del sud alle regioni più luminose a nord. Descrivo l’immaginaria ‘geografia’ marziana, secondo la fantasia dello Schiaparelli.
Il meridiano 0 passa per lo stesso punto stabilito da Beer e Mädler: sul promontorio che separa in due vasti estuari la baia Forcuta di Dawes. Schiaparelli lo chiama Fastigium Aryn, perchè nella geografia leggendaria medievale la città di Aryn stava sulla sommità del mondo, a uguale distanza da tutti i punti cardinali. La striscia che termina nei due estuari ricorda vagamente il Mar Rosso: fu chiamata Sinus Sabaeus, in memoria della biblica regina di Saba. L’Africa sta a nord di questo golfo; troviamo così Aeria (antico nome greco dell’Egitto) e Arabia, bordate dal larghissimo canale Nilus e tagliate dalle tortuose correnti dell’Hiddekel (l’attuale Tigri), e del Phison, uno dei quattro fiumi che scendono dal Paradiso terrestre. Lo stesso Eden non è lontano; si allarga fra l’Hiddekel e il Gehon, un altro dei quattro famosi fiumi del Paradiso che Sant’Isidoro di Siviglia aveva identificato con il Nilo; il quarto è l’Euphrates.
La striscia ricurva dell’Indus si getta nel Margaritifer Sinus (Golfo delle Perle), fra la Thymiamata, che ricorda una colonia fenicia in Mauritania, e Chryse, antica città della Troade. Al di là di un canale gigantesco, il Ganges, si allarga Ophir, il biblico paese dell’argento e del sandalo, con la macchietta rotonda della Juventae Fons (Fontana della Gioventù). Le sue rive si affacciano sul Golfo dell’Aurora (Aurorae Sinus) e fronteggiano l’arcuata Thaumasia Foelix (terra delle meraviglie), la terra di Taumante, figlio di Gea e del Ponto; al centro di quest’ultima, che a causa dei canali è più che altro un’isola rotondeggiante, campeggia il rotondo lago del Sole (Solis Lacus). Questo aspetto è uno dei più caratteristici; altri astronomi lo chiamavano Occhio di Marte.
In occidente si allungano obliqui in mare delle Sirene (Mare Sirenum) e il mare dei Cimmeri (Mare Cimmerium ), il cui nome ricorda i favolosi abitanti del terre disperse nel più remoto occidente, dove non giungeva mai il Sole. Le loro acque bagnano la Terra di Memnone, o alto Egitto (Memnonia), la terra delle Amazzoni (Amazonis), la terra dello Zefiro (Zephyria), l’Eolia (Aeolis); vi si gettano canali dedicati ad esseri mostruosi (fiumi delle Sirene, dei Ciclopi, dei Titani, dei Giganti), le cui sorgenti stanno a settentrione, nel fiume Oceano (Oceanus Fluvius). Ancora più a nord, biancheggiano le solitudini dell’Elysium, la terra ai confini del mondo dove Esiodo poneva gli uomini buoni dopo la morte. Dall’Elysium si dirama il Lethes, il fiume dell’oblio.
Vicino al meridiano 0 troviamo Ausonia (antico nome dell’Italia), allungata ad arco fra Mare Hadriaticum e Mare Tyrrhenum. Fra il Mare Tirreno e il Mare dei Cimmeri si estende la sottile penisola dell’Hesperia (altro antico nome dell’Italia), che si dilata a sud nell’Eridania (terra del fiume Eridano, l’odierno Po), sulle cui onde galleggiavano le lacrime della sorella di Fetonte tramutate in ambra; subito ad est c’è difatti la regione dell’Ambra o Electris. Costeggiando la Libya, il Mare Tirreno forma l’insenatura della Piccola Sirte (Syrtis Minor), poi penetra profondamente fra le terre con un ampio golfo triangolare, la Grande Sirte (Syrtis Major), che per alcuni era la parte sud del mare della Clessidra. (Sulla Terra, i due golfi della Sirte sono sulla costa africana del Mediterraneo).
A sud della larga fascia di mari e terre che abbiamo descritto, le acque si fanno dominanti sulle terre. Si stende intorno all’asse del pianeta una specie di oceano polare, il Mare Australe, mentre mare Erythraeum, alquanto più a nord, raggiunge il Golfo delle perle e quello dell’Aurora. Al limite del Mare Australe campeggia la grande isola chiara dell’Ellade (Hellas); più sud affiorano dalle acque Thyle I e Thyle II, due isole che ricordano le desolazioni della Tule degli antichi, forse l’attuale Islanda, perduta fra i ghiacci. Nell’osservare certe macchie più chiare (“di mezza tinta”) ebbe l’idea che potessero essere terre sommerse e diede loro nomi di eroi diluviani: NoachisDeucalionisPyrrhaOgyges.
C’è anche da ricordare la calotta polare residua australe, che nella mappa del 1877 fu chiamata Nix (Neve). Posta eccentricamente rispetto al polo geografico, misurava 7°, ovvero 420 km.

Con precisi dettagli Schiaparelli riferì le osservazioni di natura fisica e discussioni relative alla costituzione della superficie del pianeta e della sua atmosfera, come variazioni stagionali della calotta poalre australe e la sua natura, i processi atmosferici, il limite di visibilità degli oggetti misurati. Tuttavia, non fu solo questa sua perizia nel descrivere Marte a suscitare scalpore ma, com’è noto, la scoperta dei famosi “canali”. La grande agitazione che seguì all’annuncio di questa scoperta (dato ufficialmente in una seduta del 5 maggio 1878 della reale Accademia dei Lincei per la presentazione della memoria I) fu dovuta in gran parte al nome scelto da Schiaparelli per queste linee: “canali”. Questa parola era stata già usata da Secchi (ma per delle linee per niente sottili). Sembra impossibile vedere qualcosa senza cercare di dargli immediatamente una spiegazione, anche parziale. Sembra ugualmente impossibile leggere una parola che si è intesa semplicemente usare come denominazione, senza dare libero corso alla fantasia con le associazioni di idee che essa suggerisce. Così, le macchie scure di Marte facevano pensare a dei mari, e Schiaparelli le chiamò così; nel caso delle linee scure nulla assicurava che si trattasse di incisioni nel terreno, tuttavia alla fantasia dell’astronomo esse parvero dei canali (in altre occasioni usò la parola “fiume” come sinonimo). Schiaparelli intendeva attribuire a tale termine un significato puramente indicativo dell’aspetto della configurazione; molti, però, suggestionati dall’immagine che tale vocabolo suggeriva, si convinsero che Schiaparelli avesse realmente scoperto una rete idrica collegante veri e propri oceani. La diffusione di questa idea fu favorita anche dal fatto che quando la scoperta di Schiaparelli fu divulgata in lingua inglese, la parola “canale” fu tradotta come “canal” (che si riferisce ad incisioni artificiali, create dall’uomo) e non come “channel” (che si riferisce solo ad incisioni naturali). Schiaparelli non approvò questa traduzione, ma per i patiti dell’abitabilità di Marte l’uso di canal non fu considerato una improprietà linguistica, ma una precisazione.

I canali apparvero a Schiaparelli uno o due alla volta, non come un’intera rete. Oltretutto, stranamente, non furono sempre visti meglio quando Marte era più vicino alla Terra ma in certi casi anche molto dopo. Il 4 ottobre 1877, quando il diametro apparente del pianeta era 21″, Schiaparelli registrò nella regione gialla fra Margaritifer Sinus e Aurorae Sinus solo il largo canale Ganges, anche se godette di momenti di perfetta definizione. La stessa area rimase immutata quando la studiò ancora all’inizio di novembre, ma il 24 febbraio 1878, con un disco di soli 5.7″ osservò nella regione fino allora vuota l’Indus, che era diventato “facilmente visibile”. Oggi sappiamo che su Marte si sviluppano nubi di polvere, e sono specialmente frequenti durante l’estate marziana nell’emisfero meridionale, quando il pianeta è vicino all’afelio. Anche se a volte solo parti della superficie sono interessate, altre volte le nubi possono espandersi su scala planetaria, perfino avvolgendo tutto il pianeta. Schiaparelli fece forse la prima attendibile osservazione di queste nubi.

Già alla fine di di settembre 1877, osservò una grande e brillante nube ad est di Solis Lacus. Il 10 ottobre, trovò che Mare Erythraeum e Noachis erano coperti. Iniziando queste osservazioni quella sera, trovò che tutto appariva normale fra 240° e 350° di longitudine; poi interruppe le osservazioni per ottenere una serie di misure di una nuova cometa scoperta pochi giorni prima da Ernst Wilhelm Leberecht Tempel (1821-1889) ad Arcetri. Ritornando su Marte, con il meridiano centrale a 8°, scrisse nel suo registro: Marte è magnifico. Il Mare Erythraeum in gran parte appare coperto da nubi. Noachis è oscurato. Il continente di deucalion è difficilmente osservabile. Tuttavia, Arabia è interamente visibile, e il Sinus Sabaeus si vede bene come non mai. [Memoria I, p. 151]
In aggiunta a queste nubi, che risaltavano in contrasto con le aree scure, sembrava essercene altre nelle aree brillanti, dove “la loro presenza diviene riconoscibile solo in un senso negativo – cioè, non per quello che si vedeva di loro, ma per quello che esse nascondevano” [Memoria I., p.151] Da settembre a Dicembre 1877, la maggior parte del pianeta fra la linea del “grande diaframma” e la latitudine 30° N apparve così “coperta da nubi”, inclusa l’area continentale in cui l’Indus prima aveva fatto la sua tardiva apparizione. Schiaparelli notò che nel periodo attorno all’opposizione, che fu poco dopo il solstizio estivo nell’emisfero meridionale di Marte, nubi e veli erano frequanti, ma che in gennaio, febbraio e marzo 1878 l’atmosfera del pianeta era largamente schiarita. Così molti dei canali, prima velati da nubi, furono rivelati per la prima volta nonostante la ridotta dimensione del disco.

Schiaparelli non fu il primo a vedere i canali. Alcune strisce mal definite appaiono nei disegni di Schröter, e sembra essercene almeno una in quelli di Beer e Mädler; altri furono registrati da Secchi, Kaiser, Lockyer, De la Rue, Lassell, Dawes e Proctor. Ma nella mappa di Schiaparelli si trova una vera e propria rete di canali: se ne possono calcolare fino a 40. Da allora, la discussione sui canali divenne il motivo conduttore dello studio di Marte. Contrariamente a quanto aveva sperato, Schiaparelli si trovò isolato di fronte ai suoi colleghi per il fatto che, per un certo tempo, nessuno fu in grado di confermare l’esistenza dei canali. Anzi, la loro esistenza fu aspramente discussa, specialmente in Inghilterra. Schiaparelli il 6 luglio 1878 scrisse a Otto Struve:

Corrispondenza su Marte, vol.1, {B-0130.01_.1964} p. 16-17. Un inglese molto interessato a Marte, il signor Nathaniel Green, mi ha inviato una copia dei bellissimi disegni da lui ottenuti a Madeira con uno specchio di With da 13 pollici. Questi disegni saranno pubblicati dalla Società Astronomica e non lasciano nulla a desiderare dal punto di vista pittorico; solo che dimostrano che il telescopio da 13 pollici non aveva un potere di definizione pari a quello del nostro telescopio Merz da 8 pollici. Considerando questa circostanza, la coincidenza è completa: tutto ciò che è stato visto dal signor Green, è stato visto qui: ma è ben lungi dall’essere vero che tutto ciò che è stato visto qui si trovi nei disegni di Madeira. Su richiesta del signor Green gli inviai una copia della Tavola V allegata alle mie Memorie. Portò questi disegni all’Astronomical Society. di Londra, aggiungendo critiche sconsiderate: alle quali Lord Lindsay aggiunse una difesa peggiore dell’accusa. La cosa più curiosa di questo caso è che alcuni degli oggetti di cui il signor Green nega l’esistenza sono stati da lui scoperti in precedenti opposizioni con piccoli occhiali diottrici e senza andare a Madeira!
Una circostanza che sembra aver dimenticato. Capisco benissimo, del resto, che tante novità non vengano accolte senza riserve: è un atteggiamento molto saggio, che io stesso esercito nei confronti degli altri. Ma penso che nel caso presente, prima di parlare di illusioni, fosse necessario attendere e studiare le mie spiegazioni, che avevo promesso di inviare a tempo debito. Per me il risultato di questa curiosa discussione (pubblicata con fin troppa leggerezza) è che in Inghilterra si hanno idee molto esagerate sulla potenza dei riflettori e che non si considerano abbastanza le capacità di un buon telescopio Merz, usato con cura e in un’atmosfera calma. Lei stesso ha avuto modo di osservare questo fatto in altre occasioni. A quanto pare gli inglesi stanno rendendo il telescopio riflettore una specie di questione nazionale. Una nazione che può contare su un esperto di lenti diottriche come Cooke non ha bisogno di impegnarsi così tanto nel sostenere la gloria dei riflettori.

Il 19 febbraio 1879 Schiaparelli scrisse a Otto Struve:

Corrispondenza su Marte, vol.1, {B-0130.01_.1964} p. 20-21 Inoltre, conosco solo una discussione molto insolita avvenuta durante la sessione del R.A.S. il 12 aprile 1878. Su una copia della mia Tavola V, che avevo inviato al signor Green perché la usasse, erano riportati commenti non seri e non degni di un’assemblea così seria e dotta. Quindi Sir G. B. Airy ha avuto ragione a troncare questa chiacchierata dicendo: “Temo che stiamo scherzando con il tempo della Società”. Credo che coloro che allora mi condannarono cambieranno un po’ la loro opinione se leggeranno le mie Memorie, che a quel tempo non erano ancora state pubblicate. Non capisco di cosa il signor Green potesse preoccuparsi così tanto. I suoi disegni realizzati a Madeira sono eccellenti e concordano con i miei per quanto ci si possa aspettare da un riflettore, la cui definizione sembra essere considerevolmente inferiore a quella del rifrattore di Milano.
Tutto quello che ha visto lui, l’ho visto anch’io: dovrebbe essere felice, come lo sono io, di questo bellissimo accordo e non parlare di illusioni ottiche! Aspetto con impazienza di vedere i disegni fatti dal signor Trouvelot con il Washington da 26 pollici: speravo che questi disegni potessero servire come conferma delle mie osservazioni, ma una parola del signor Winnecke nella sua lettera sembra indicare che in America è anche considerato molto indecente che con un misero 8 pollici si siano potute vedere così tante cose! In realtà questo 8 pollici è molto ben acromatizzato per la parte meno rifrangente dello spettro e forse questa è la chiave dell’intero mistero. Se Marte fosse stato blu e viola, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. In ogni caso, intendo prestare attenzione ai commenti presentati in modo onesto e imparziale: il mio lavoro è ben lungi dall’essere perfetto e sarò felice di conoscerne i difetti per correggerli.