All’opposizione del 1858, Marte fu estesamente osservato dall’astronomo gesuita Pietro Angelo Secchi (1818-1878), dal 1849 direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano: “Osservazioni di Marte, fatte durante l’opposizione del 1858”, Memorie dell’Osservatorio del Collegio Romano (Roma, 1859) {A-0668.0001_.0003.18590000-0017_0024} p. 17 ➤ tavola ➤ Flammarion ➤ . Secchi realizzò diversi disegni usando un rifrattore equatoriale da 24 cm con 400-500 ingrandimenti.
{A-0668.0001_.0003.18590000-0017_0024} p. 18 ➤ La conclusione generale a cui si arriva è, che esistono su Marte macchie di colori molto diversi: le principali sono di color rosso, azzurro, giallo, e alcune, forse per contrasto, verdino. È impossibile dare un idea per mezzo di disegni queste finte; l’incisione in rame non le può riprodurre, e dei saggi tentati in cromolitogralia sono riusciti inadeguati. La sola cosa che li rappresenta abbastanza bene, si è il disegno a pastello colorato: 40 dei più dei disegni fatti al cannocchiale sono stati messi in pulito a colori dal P. Cappelletti a questo modo e si conservano all’Osservatorio (1). [(1) Furono da me presentati all’Accademia di Parigi li 30 agosto 1858, e a varii membri della Soc. Astronomica di Londra] I colori sono stati indicati come apparivano senza corregger nulla per effetto di contrasto o per altra teoria. È stato fatto costante il vedere Marte men rosso ad occhio nudo quando nel cannocchiale non aveva macchie azzurre molto notabili, il che può dar lume sull’origine della variabilità di luce di altri astri. La forma delle macchie meglio che da alcuna descrizione si rileva dai disegni. Le più caratteristiche sono quelle dei numeri 9, 10, 11, 12 che presentano una gran macchia azzurra a forma di triangolo (o come dice il giornale, di Scorpione), che noi talora abbiamo chiamato Canale atlantico. Un altro canale minore e che congiunge due macchie più larghe pure azzurre, ma molto meno intense, vedesi nelle figure 1, 2, 3, 4, che chiamiamo Istmo (benché forse con nome meno conveniente). Questi due canali circondano una specie di grande isola rossa che occupa il mezzo dei disegni 4, e 5 dai quali rilevasi la sua forma. I due canali e l’isola occupano circa 150° di longitudine areografica, il resto è coperto di macchie indefinibili e difficili assai a riconoscersi per la loro sfumatura: una idea se ne ha nelle figure 13, 14, 15, 19 e 20.
Le macchie polari sono cinte da un contorno cenericcio e sfumato, ma tra l’isola rossa e la polare superiore è un altra macchia di color bianco che facilmente si può confondere colla polare. Lo splendore di queste macchie è tale che per irradiazione il pianeta sembra ivi più prominente: tale illusione tende ad esagerare il diametro polare del pianeta: la forma loro derivata dai parziali disegni nel modo che si è detto si trovano disegnate qual conclusioni provvisorie ai numeri 17 e 18. Le altre due figure 19 e 20 contengono due apparenze singolari della macchia polare inferiore giustificatrici de’ disegni precedenti. Chi nel prossimo 1860 potrà ripetere queste osservazioni avrà in questi disegni un punto di partenza a quel che spero abbastanza sicuro per dedurre molte importanti conseguenze, e potrà decidersi con sicurezza quali di esse siano fisse e quali variabili. Senza voler anticipar troppo, sulle conseguenze future, parmi per ora sicuro dalle nostre ricerche che il gran Canale atlantico esistesse nel 1856 e 54; giacché io lo disegnai nella prima di queste due epoche; e per la seconda ne ebbi notizia dalla gentilezza del sig. Warren de la Rue che mi mostrò un disegno fatto da esso nel 1854 e che confrontato cogli originali nostri combinava benissimo nelle sue parti più sostanziali e solo ne differiva in qualche dettaglio presso i poli.
Delle molte questioni che si potrebbero fare sulla condizione fisica del Pianeta non pare che sia ancora giunta l’ora di darne la soluzione. Così per esempio se le parti cerulee siano tali solo per contrasto, o in realtà: io inclino a credere che questo colore è vero, perché tale mi è sembrato qualche piccola porzione del Pianeta guardata separatamente per mezzo di un piccolissimo diaframma: però una osservazione fatta di giorno sembra gettare qualche dubbio, essendo esse allora comparse di un azzurro cupo e quasi nere. L’altra questione è se le parti oscure sieno acqua, le rosse continenti e le bianche nubi: ciò è assai difficile a decidere, e la risposta dipenderà dal riconoscere se esse sono permanenti o variabili: se le bianche muteranno di forma dovremo giudicarle nubi, se nò ghiacci o continenti. In favore della opinione che le bianche siano nubi sembra militare il fatto che noi vedemmo qualche volta la gran macchia del Canale Atlantico come coperta da cirri, ed altra non ci accorgemmo di ciò affatto, anche con aria buona assai. Vedremo se queste apparenze si riproducono. Le rosse e le azzurre sembrano troppo permanenti per dubitarsi della loro natura, e pare probabile che le prime siano solido e l’altro liquido. Vedrassi nelle osservazioni che il rosso non è uniforme, ma screziato e come diffuso a punteggiature sulla natura delle quali non abbiamo idea. Un confronto superficiale dei nostri disegni con quelli di Maedier fatti dal 1830 al 37 sembrerebbe decidere assolutamente in favore di mutazioni notabilissime: tuttavia riflettendo all’influenza che può avere in tale materia la forza degli strumenti e la qualità dell’aria, si deve sospendere il giudizio. Non sempre essi ebbero aria favorevole quando poterono usare strumento pari al nostro in dimensioni. Molto sorprende il non trovarsi ora quella macchia a guisa di palla sospesa da un filo che essi notarono come tanto caratteristica, e questo induce forte sospetto di mutazione, ma considerando bene potrebbe questa esser la macchia inferiore del nostro istmo. Il gran canale ora così deciso e forte, sembra impossibile che fosse loro sfuggito, giacché si vede anche con canocchiali assai minori, se pure non è la loro gran macchia pn. Ulteriori ricerche scioglieranno questi enimmi. I disegni di Jacob fatti a Madras nel 1834 sono facilmente riconoscibili analoghi ai nostri 1.° e 13°. Del resto senza una serie ben seguita di disegni è impossibile nulla concludere ed è per ciò che invitiamo nella futura opposizione gli astronomi provvisti di forti strumenti a farvi molta attenzione.
Marte sembra certamente avere una atmosfera, essendo la sua luce all’orlo molto più debole che al centro: di più la nettezza del contorno delle macchie nella vicinanza de’ lembi sempre si intorbida un poco e si sfuma, il che sembra dimostrare che vi è, ma però assai tenue, e certo non tanto densa quanto quella di Giove e probabilmente è anche minore di quella della Terra. Merita singolare attenzione la macchia ovale che nel disegno n.° 6 e seguenti apparisce bene staccata dalle altre, ed invece pare unita nel n.° 3 degli 8 Giugno. Nei disegni seguenti dopo una rivoluzione intera quello dei 16 Luglio quasi nella stessa fase del n.° 6 la presenta pure staccata e considerando solo la posizione geometrica pare che anche alli 8 giugno si sarebbe dovuta veder pure staccata quando si fece il n.° 5., onde la riunione può esser solo apparente per la sfumatura che induce sulla sua divisione l’atmosfera di cui e cinto il pianeta.
Per riconoscere quale influenza poteva avere sull’aspetto di Marte lo stato dell’aria nostra diamo alcuni disegni fatti in aria cattiva (n.° 8 e 16), i quali però non diversificano dagli altri che nella minor vivacità de’ contorni. Lo stato dell’aria in generale era giudicato buono o cattivo dietro la solita forma delle stelle doppie; anzi spesso si osservavano a bella posta alcune doppie prima del pianeta per aver un criterio sull’aria, per formarsi una idea dell’effetto che faceva su di esso l’aria cattiva.
La macchia triangolare che Secchi chiama canale atlantico o scorpione fu battezzata da Schiaparelli Syrtis Major.
All’opposizione perielica del luglio 1860, Marte fu a declinazioni decisamente australi, e così difficile da osservare dall’emisfero Nord della Terra, dove la maggior parte degli osservatori erano locati. Quell’anno alcune buone osservazioni furono compiute dal Emmanuel Liais (1826-1900): si trovano nel suo libro “L’espace céleste et la nature tropicale” (1865) {B-0114.00_.1865}
{B-0114.00_.1865} p. 460 ➤ Marte è notevole per il suo intenso colore rosso. Questo colore è quello delle parti brillanti del suo terreno, sia che derivi dalla natura di quest’ultimo stesso, sia da quella della vegetazione. Bode attribuisce questa tinta all’atmosfera del pianeta, ma Arago fa giustamente notare che questa spiegazione non è ammissibile, perché in tal caso sarebbero le regioni polari bianche ad apparire più rossastre. Attraverso osservazioni continue, Beer e Mædler riuscirono a disegnare mappe che mostravano i punti fissi di Marte. Qui fornisco la rappresentazione dei due emisferi proiettati sull’orizzonte dei poli. Il 25 luglio 1860, durante l’opposizione di Marte, presi diverse misure del suo diametro equatoriale, per mezzo di un micrometro a doppia immagine, modificato in modo da ricevere un ingrandimento di 310 volte. Ho ottenuto per la media delle misurazioni 25”35. In base alla distanza del pianeta dalla Terra a quel tempo, è facile concludere da questo valore che il suo diametro visto a una distanza pari al raggio medio dell’orbita terrestre sarebbe di 9°.91. Arago gli assegnò un valore di 9,57, ma gli ingrandimenti da lui utilizzati erano inferiori a quelli che ho usato io. Riporto qui il disegno del pianeta che ho realizzato lo stesso giorno. Era il polo sud quello più visibile in quel momento, rivolto verso la Terra. Tuttavia, erano visibili alcune tracce di ghiaccio al polo nord. La rotazione di Marte dura 24 ore 37 minuti e 25 secondi secondo Beer e Mædler, e l’inclinazione del suo equatore rispetto al piano della sua orbita è di 28°42′, secondo W. Herschell. Questa inclinazione non differisce quindi molto da quella che si verifica per la Terra. Visto al telescopio, Marte appare perfettamente rotondo. Arago, tuttavia, ha trovato, con una serie di misurazioni, che il suo asse polare è di un trentesimo più piccolo dell’asse equatoriale. Ma il biancore dei poli rende incerti i risultati a causa degli effetti di irradiazione a cui dà origine. Bessel ritenne che, anche con il suo eliometro, fosse impossibile dimostrare lo schiacciamento di Marte. Avendo provato a misurare questo schiacciamento, sono pienamente d’accordo con la sua opinione, perché le divergenze dei risultati sono maggiori della quantità da misurare, anche con un ingrandimento maggiore di quello usato da Arago. La macchia bianca a sud mostra una variazione stagionale maggiore rispetto a quella a nord. Ed è proprio durante l’estate di quest’ultimo emisfero che il pianeta è più vicino al sole.
Secchi pubblicò poi una memoria per le osservazioni del 1862: “Osservazioni del pianeta Marte”, Memorie dell’Osservatorio del Collegio Romano (Roma, 1863) {A-0668.0002_.0010.18630000-0076_0080} p. 76 ➤ tavola ➤ Flammarion ➤ .
{A-0668.0002_.0010.18630000-0076_0080} p. 76 ➤ Nell’occasione che il pianeta Marte trovavasi nella sua massima vicinanza alla nostra terra, e nel tempo stesso nella massima vicinanza al Sole, non abbiamo trascurato di fare diverse osservazioni tanto per la parallasse che per le sue proprietà fisiche. Ma non potendo continuare le prime a lungo, preferimmo di continuare le ricerche che hanno un’interesse tutto speciale per la cognizione della sua struttura fisica.
Marte è il pianeta più vicino alla terra, ed il corpo celeste la cui costituzione fisica possiamo meglio conoscere dopo la Luna. Herschel ed altri asserirono avere in esso notato non solo mari e continenti, ma anche gli effetti delle stagioni estive ed invernali. Le discordanze però delle osservazioni di posteriori astronomi colle loro, facevano che restasse ciò un poco dubbioso. I moderni strumenti potevano facilmente decidere la quistione, essendo essi pari e anzi superiori a quelli del famoso astronomo britanno. Ci accingemmo anche noi fin dal 1856 allo studio de’ fenomeni di questo pianeta: è singolarmente nell’anno 1858 con l’aiuto del grande equatoriale, riuscimmo col P. Cappelletti a fare una serie di scelti disegni, che delineati su di un globo ci diedero una mappa completa. Se non che le nostre figure riuscirono sì diverse da quelle de’ nostri predecessori, e singolarmente da quelle di Maedler , che sospendemmo la pubblicazione della mappa per aspettare l’opportunità di trovare l’origine delle divergenze. La principale di queste mostravasi nelle macchie bianche dette polari, perché mentre quelle di Maedler rassomigliano a un piccolissimo circoletto lucido, noi le trovammo di forma complessa e convoluta oltre ogni credere. Ora accadde appunto nell’ultima opposizione che le macchie polari di Marte mostrarono l’aspetto di quelle delineate di Maedler, e con esse ritornarono pure le forme delle equatoriali date da esso.
Le differenze notate aveano origine da due cagioni distinte. La 1° era il diverso punto di prospettiva sotto cui si presentava Marte nel 1858, essendo allora i due poli egualmente visibili, mentre ora ci è nascosto il polo boreale, e visibile l’australe; quindi mettendo in posizione conveniente il globo da noi disegnato, vedonsi in esso riprodotte esattissimamente le regioni equatoriali. Questo singolarmente vedemmo la sera del 26 7bre a 9h 45m in cui in mezzo al pianeta ci comparve la fig. II della tav. V del presente volume che corrisponde evidentemente alla fig. I della tav. IV delle memorie del 1859: ma presentata in iscorcio, e ricorrendo alla palla dipinta la trovammo corrispondere coi più singolari dettagli. Confrontando il nostro disegno attuale si trova combinare con quello di Maedler del 1832 numero 3.
Nelle macchie polari invece le mutazioni sono permanenti, anche sulla nostra mappa, ma unicamente dovute alla variazione delle tinte che è la 2a cagione di diversità. I vasti campi bianchi sono svaniti e ristretti alla piccola callotta di Maedler; e invece le ampie superficie rosate coprono le vicinanze del polo australe. Il polo boreale essendo nascosto, nulla possiamo dire di esso, se non che travedevasi all’orlo la tinta gialla assai dilatata. E manifesto che tali mutazioni non altrimenti possono spiegarsi che colla fusione delle nevi o colla dissipazione delle nubi che coprivano le regioni polari del pianeta. E in fatti così dev’essere, perché il polo a noi visibile nell’attuale opposizione è il polo diretto verso il Sole e che sin nell’emisfero che ha ora il suo estate, giacché non distando il perielio dell’orbita di Marte dal suo solstizio più di 15° e Marte essendo stato nel perielio ai 4 agosto prossimo passato, esso si trovava nell’epoca di massima temperatura, corrispondente alla metà del nostro luglio; e notisi che la forte inclinazione dell’asse di Marte alla sua orbita (cioè 30°1/4) rende l’effetto delle stagioni assai notabile.
Da queste apparenze resta ancora provato esistere in Marte acqua liquida e mari, essendo questa natural conseguenza della fusione delle nevi; e tal conclusione è convalidata dal fatto che le linee azzurre che allora si scorgevano nelle regioni equatoriali del pianeta, non hanno mutato sensibilmente forma, mentre ai campi bianchi presso ai poli sono succeduti de’ campi di color rosato, che esser non possono altro che i continenti. Così l’esistenza di mari e continenti, con vicende di stagioni e alternative di nevi e ghiacci, e per ciò di vicende meteorologiche nella atmosfera, è dimostrata quanto può esserlo nel più vicino dei nostri compagni aggirantisi attorno all’astro centrale. La gran macchia bleu che vedesi nella fig. VII della tavola attuale era nel 1858 veduta assai di scorcio, e inoltre offuscata dall’atmosfera di Marte, quindi essa apparve assai piccola e languida di tinta, ma ora ritorna anch’essa col carattere che le diede Maedler.
Sfortunatamente le osservazioni sono state poche: la stagione spesso contraria ci ba impedito di fare le osservazioni che desideravamo. Anche altre circostanze indipendenti dalla nostra volontà si distolsero dal farne seguitamente i disegni per continuare le ricerche del 1838. Ne diamo però nella tavola IV 8 dei principali che saranno di grande utile a riconoscere le variazioni del pianeta. Non possiamo qui entrare in una discussione completa delle osservazioni nostre o delle altrui su questo importante soggetto. Solo diremo che quest’anno si sono presentate le macchie caratteristiche di Beer Maedler in modo non equivoco, e possiamo riscontrare molte delle loro con diverse delle nostre. Così la sua notata cfh nella tav. VII dell’opera intitolata “Fragments sur les corps celestes du systéme solaire. Paris 1840” è quella che noi diciamo Mare di Cook: la np è per noi Marco Polo: la a deve essere il canale di Franklin. Nessun nome essi hanno dato alle parti rosse, noi abbiamo indicate con qualche nome quelle che sono più decise e costanti. Molto resta ancora per fare una esatta mappa del pianeta.
Lasciando da parte le più minute discussioni, diremo che abbiamo riportate da queste ricerche la convinzione è che oltre le macchie permanenti ve ne sono molte delle variabili e che meritano di esser studiate più a fondo e seguitamente: così pure ci sembra indubitatamente stabilita la presenza della sua atmosfera dall’ assorbimento della luce agli orli del disco. Cosa confermata poscia indipendentemente dalle osservazioni spettrometriche.
I disegni che pubblichiamo non arrivano alla perfezione di quelli pubblicati nel 1859: essi sono tratti da abozzi fatti all’atto dell’osservazione il più fedelmente che si è potuto, ma io confesso di non avere la perizia del disegno che avea il passato mio benemerito collega P. Cappelletti.
p. 78 ➤ 18 8bre 1862. 8h pom. (fig. 3) Marte ha la callotta decisa e netta al solito. Vi si vede una macchia scura di color diverso dal solito che non ho mai veduta, e pare circondata da un anello o ciclone spirale. Le regioni ora visibili tinte di color rosso vicino alla callotta, certamente erano bianche l’altr‘anno. (Aria limpida ma tremola). La crederei una gran burrasca in Marte.
Secchi non pubblicò le sue osservazioni di Marte nell’opposizione del 1864, ma inviò 9 disegni a Terby:
{A-0028.0039_.0001.18790000-0001_0119} p. 20 ➤ Il direttore dell’Osservatorio romano ebbe la gentilezza di inviarmi nove disegni inediti da lui realizzati durante l’opposizione del 1864. Essi rappresentano il Mare Kaiser, il Mare Maraldi, lo Stretto Herschel II, il Mare Lockyer circondato dal suo anello luminoso (osservazione del 10 dicembre 1864) (4). Contengono anche importanti particolarità su cui tornerò in seguito.
(4) Il Mare Lockyer dà spesso l’idea di un vasto ciclone che tormenterebbe l’atmosfera del pianeta. Presenta anche una certa somiglianza con la figura di un occhio; così lo chiama il signor Kaiser: Augenähnliche Fleck (Mém. cit, p.41). Il signor Linsser lo paragona a un circo lunare e lo chiama: Ringgebirgsförmige Eleck, (vedi Heis, Wochenschrift… loc. cit.) È la macchia d di Beer e Mädler. Padre Seechi afferma, in una nota che accompagna questa osservazione del 1864: “Non si vede nulla di particolare, tranne una specie di occhio, o nuvola rotonda e ovale”.
Un altro eccellente osservatore fu l’astronomo inglese Sir Joseph Norman Lockyer (1836-1920), con un rifrattore da 16 cm. I suoi disegni di Marte secondo il grande astronomo francese E.M.Antoniadi “ci diedero la prima rappresentazione realistica del pianeta”. Si trovano in “Measures of the Planet Mars, made at the opposition of 1862,” Memoirs of the Royal Astronomical Society 32 (1863) {A-0009.0032_.0000.18640000-0179_0192} p.179-190 ➤ ; Flammarion ➤ . Abstract in “Observations on the Planet Mars”, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society 23 (1862) {A-0075.0023_.0008.18630612-0246_0246} p. 246 ➤ Giovanni Virginio Schiaparelli espresse questo giudizio dei disegni di Lockyer:
… sebbene realizzati con un ingrandimento insufficiente, sono i più eccellenti che siano mai state eseguiti, e sono essi che mi hanno dato la fiducia per continuare le mie osservazioni su Marte, fiducia che era stata molto abbassata dal poco incoraggiante confronto con i sig. Proctor e Flammarion. [Corrispondenza su Marte , vol.1 {B-0130.01_.1964} p. 10; lettera a Struve del 4 gennaio 1878]
Lockyer accettò la natura permanente delle aree scure, anche se notò che c’erano ovvie variazioni nel tempo. Per esempio, Solis Lacus (detto da alcuni “Oculus”), che era stato rappresentato quasi circolare da da Beer e Mädler, era diventato distintamente allungato al tempo di Lockyer. Questi attribuì altre variazioni alle nubi; i suoi disegni sembrerebbero indicare l’esistenza di velature piuttosto persistenti sopra Mare Erithraeum. {A-0009.0032_.0000.18640000-0179_0192} p.183 ➤ Ma sebbene la completa fissità delle caratteristiche principali del pianeta sia stata così messa al di là di ogni dubbio, si verificano quotidianamente, anzi ogni ora, cambiamenti nei dettagli e nelle tonalità delle diverse parti del pianeta, sia luminose che scure. Questi cambiamenti sono, non dubito, causati dal transito delle nubi sulle diverse caratteristiche.
John Phillips (1800-1874), prof. di geologia ad Oxford e cultore di astronomia, uno dei più attivi osservatori di Marte nell’opposizione del 1862, scrisse in “On the Telescopic Appearance of the Planet Mars”, Proceedings of the Royal Society of London, 12 (1862-1863) {A-0098.0012_.0000.18630000-0431_0437}, p. 431-437 ➤ :
(1862-1863) {A-0098.0012_.0000.18630000-0431_0437}, p. 432 ➤ Considerando la superficie del pianeta, sia come vista al telescopio, sia come delineata sulla carta, nutriamo qualche dubbio sul significato di ciò che vediamo. Le parti luminose (spesso di una tinta rossa) sono terraferma, quelle più scure (che spesso appaiono di un grigio verdastro) acqua? Oppure, come nella Luna, il potere riflettente delle diverse parti di una superficie asciutta è molto disuguale? C’è qualche cambiamento considerevole nell’aspetto delle masse o dei confini tra un’epoca e l’altra, tale da indicare vicissitudini atmosferiche simili a quelle di Giove e del nostro pianeta? Prendendo per prima quest’ultima domanda, l’autore ha scoperto, in base all’esperienza delle sue osservazioni per 74 giorni, che non si è verificato alcun cambiamento sostanziale nelle caratteristiche principali e più evidenti attorno alla longitudine che egli segna 0°. Non che dopo questo considerevole intervallo l’aspetto sia rimasto esattamente come all’inizio: non era così, e non ci si poteva aspettare che fosse così, dopo che il pianeta aveva aumentato la sua distanza dalla Terra fino a quasi raddoppiarla all’inizio delle osservazioni. Aggiungendo alla propria l’esperienza del signor Lockyer, le cui osservazioni iniziarono 35 giorni prima, questa deduzione, di permanenza nei confini principali di luci e ombre, si estende a oltre 100 rivoluzioni di Marte; e confrontando queste con i precedenti schizzi di Mädler, Herschel, Jacobs e De la Rue, la conclusione sembra abbracciare l’intera serie di oltre trent’anni.
L’autore considera come una delle caratteristiche principali ben definite nella recente opposizione, l’ampia fascia bianca o piuttosto rossastra che da circa 65° di latitudine nord (il polo nord essendo invisibile in queste osservazioni) si estende in ampie protuberanze luminose simili a nubi verso e oltre l’equatore, e si ritira in una baia principale e in diverse baie più piccole verso il polo. Da questo spazio luminoso, che in molte parti è nettamente definito, un’ampia tinta scura si diffonde verso sud, parzialmente attenuata da espansioni semi-illuminate con ombre di varia intensità intermedie. Il polo sud stesso è circondato (in modo eccentrico come appare) da una massa bianca brillante, che brilla evidentemente al telescopio. Si ritiene che si tratti di neve; e l’effetto del suo candore è accentuato in gran parte della sua circonferenza dal contrasto di un anello scuro che lo circonda, che si espande qua e là in spazi più ampi. Così, gran parte dell’area settentrionale appariva, nella tarda opposizione, luminosa e spesso rossastra, come se fosse terraferma, mentre gran parte dell’area meridionale era di quella tonalità grigia che si ritiene indichi l’acqua, ma attenuata da vari tratti di una tinta più o meno simile a quella degli spazi più luminosi dell’emisfero settentrionale. Il confine principale tra luce e ombra, per la maggior parte molto ben definito, correva obliquamente attraverso l’equatore di Marte, in modo da raggiungere latitudini da 20° a 30° a nord e a sud di tale linea. Ciò può forse essere compreso dai disegni selezionati per l’illustrazione, soprattutto se confrontati con una proiezione ortografica delle latitudini. (Ancora meglio per mezzo dei globi che accompagnavano la comunicazione, costruiti dall’autore, uno dai suoi schizzi, l’altro da quelli del signor Lockyer.)
Ammettendo che gli spazi bianchi siano terraferma, che riflette la luce come la Luna in opposizione, sembra naturale supporre che gli spazi ombrosi debbano essere chiamati mare; e ciò può essere supportato dall’ovvia necessità di acqua da qualche parte su Marte, in accordo con l’alternanza di accumulo e scioglimento della neve intorno ai poli. Tuttavia, ogni osservatore nota una non piccola somiglianza di alcune di queste zone ombrose con particolari parti delle superfici grigie disuguali della luna. Una prova certa dell’oceano sul disco di Marte sarebbe fornita dall’immagine stellare del sole riflessa dalla superficie calma, o dalla luce più diffusa riflessa dalle onde; ma nulla di simile è stato registrato, né vi è una tale variazione nell’aspetto di questi spazi dal centro verso i bordi da fornire una ragione specifica per ritenerli occupati dall’acqua.
Le vicissitudini atmosferiche, tuttavia, sembrano essere riconosciute nell’aspetto alquanto variabile di molte porzioni degli spazi grigi; poiché questi, sebbene non molto modificati nella posizione delle masse di luce o ombra, sono sufficientemente incostanti nelle loro forme e nei dettagli da suggerire l’idea di un involucro vaporoso, che aleggia su alcune parti più di altre, e variabile da un’epoca all’altra. I disegni del signor Lockyer forniscono la migliore testimonianza di queste variazioni; poiché il professor Phillips, salvo poche occasioni, ha limitato la sua attenzione principalmente ai confini più marcati e apparentemente più definiti tra luce e ombra. Le tinte sul corpo di Marte furono osservate da ciascuno dei signori menzionati, ma con risultati diversi. Al signor Nasmyth, con un grande riflettore, la “terra” appariva di una tinta decisamente rossa, l’”acqua” verde. La “terra” appariva rossa in alcune parti, ma brillante e quasi argentea in altre, al professor Phillips, che guardava attraverso il suo riflettore acromatico, che mostrava anche l’”acqua” di una tinta grigia o verdastra. Non appariva alcuna traccia di rossore nello strumento del signor Lockyer, che, come molti altri di eccellente qualità per la ricerca astronomica, è intenzionalmente “sovracorretto”. Il signor Nasmyth vide la chiazza di neve sul polo sud con i bordi così nettamente definiti da dargli l’impressione che avesse un limite roccioso. La chiazza di neve a sud non gli sembrava coincidere con il polo sud del pianeta, ma, al contrario, essere considerevolmente eccentrica rispetto ad esso; e suppose che ciò fosse dovuto alla distribuzione relativa di terra e acqua, che influenzava la posizione del centro di massimo freddo. Solo un debole luccichio delle superfici innevate attorno al polo nord fu visto da qualche osservatore. Nel complesso, l’autore di questo articolo ha concluso che, su una base permanente di tratti luminosi e oscuri sulla superficie di Marte, si accumula e fluttua un involucro variabile, che modifica parzialmente l’aspetto delle caratteristiche fondamentali e, in alcuni casi, persino mascherandole sotto nuove luci e ombre, che non presentano alcuna costanza: una sottile atmosfera vaporosa che probabilmente poggia su una superficie di terra, neve e acqua.
Phillips proseguì le osservazioni nel 1864, e pubblicò “Further Observations on the Planet Mars”, Proceedings of the Royal Society of London, 14 (1865) {A-0098.0014_.0000.18650000-0042_0046} p. 42-46 ➤ con una mappa di Marte (Plate II, dopo p. 52).1862). Confrontando le osservazioni del 1864 con quelle del 1862, individuò dei territori che si erano modificati, mentre una variazione di colore accompagnava la progressione o la regressione della calotta polare. Phillips aggiunse di aver notato l’evidente apparizione di macchie bianche, come se dei settori della superficie fossero stati ricoperti di ghiaccio o brina.

William Parsons (fino al 1841 Lord Oxmantown, poi III Earl of Rosse, 1800-1867) costrui’ nel 1845 a Parsonstown (Birr Castle, Irlanda) un grande telescopio riflettore (apertura 180 cm) con lo specchio di speculum. Nonostante numerosi accorgimenti tecnici, Lord Rosse riuscì a compiere buone osservazioni di nebulose, ma le osservazioni planetarie (come quelle di Marte e Giove) si rivelarono deludenti. Disegni riprodotti da Flammarion ➤
Un altro patito dei telescopi riflettori a quell’epoca fu l’astronomo dilettante inglese William Lassell (1799-1880), che nel 1861 installò un buon telescopio da 122 cm a Malta. Resoconti delle sue osservazioni di Marte si trovano in “Observations of Mars”, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society 23 (1862) {A-0075.0023_.0005.18630313-0176_0178} p. 176 ➤ ; Flammarion ➤
L’inglese George Knott (1835-1894 osservò Marte nel 1862 fu ); disegni riprodotti da Terby e poi da Flammarion ➤
Un’importante serie di disegni fu eseguita dal direttore dell’Oss. di Leida, Frederik Kaiser (1808-1872), che ricalcolò il periodo di rotazione confrontando i suoi disegni con quelli di Hooke e Huygens: 24h37m22.6s: “Untersuchungen über den planeten Mars bei dessen oppositionen in der Jahren 1862 und 1864”, Annalen der Sternwarte in Leiden, 3 (Haag, 1872) {A-0090.0003_.0000.18720000-0001_0086} p, 1-56 ➤ Flammarion ➤ Kaiser realizzò la migliore mappa di Marte di quel tempo, continuando ad usare le lettere per designare i vari dettagli. Ecco il commento che ne fece Schiaparelli:

… bisogna ammettere che a volte interpretava in modo molto strano ciò che vedeva o ciò che credeva di vedere. Sulla sua mappa troviamo linee rette, ellissi e archi di cerchio, tutti con una disposizione dei dettagli davvero straordinaria. Ma nessuno può averlo superato nella fedeltà con cui ha riprodotto ciò che credeva di aver visto. E quando si ha la chiave del suo linguaggio, è sorprendente con quanta accuratezza i suoi più piccoli e insignificanti dettagli risultino rappresentare oggetti reali sulla superficie di Marte. [Corrispondenza su Marte , vol.1 {B-0130.01_.1964} p. 12; lettera a Struve del 4 gennaio 1878].
Schiaparelli confrontò le posizioni di 11 oggetti fondamentali misurati da Kaiser per compilare la mappa, e ne riconobbe con sicurezza 8 di analoghi nella sua. Le posizioni di Kaiser furono dedotte con procedimento grafico dai disegni, supponendo che la calotta polare coincidesse con il polo geografico; per alcuni oggetti fu in grado di fornire solo una coordinata. Tenendo conto di questo, Schiaparelli trovò un buon accordo fra la sua mappa e quella di Kaiser.
Dawes e Proctor
Il Rev. William Rutter Dawes (1799-1868), pastore a Ormskirk (vic. Liverpool) si occupò di ottica (ancora oggi si parla di legge di Dawes per il potere risolutivo dei telescopi) ed astronomia. Quest’ultima diventò la sua attività principale; la coltivò in un osservatorio privato a Cranbrook (Kent) e poi (dal 1827) a Haddenham, Buckinghamshire. Misurò ben 46000 stelle doppie (1819-67), osservò l’anello C di Saturno e il suo satellite Iperione contemporaneamente (o quasi) agli astronomi Bond di Harvard; eseguì eccellenti osservazioni di Marte. È passato alla storia per l’acuità delle sue visioni telescopiche (era stato soprannominato eagle’s eye, occhio d’aquila) ma pare che fosse afflitto da una forte miopia: si disse che poteva incrociare sua moglie per la strada senza riconoscerla.
Dawes realizzò qualche disegno di Marte nelle opposizioni del 1847, 1854, 1856 e 1860; il suo disegno del 9 novembre 1847 mostra Solis Lacus e Mare Sirenum. Molto più ricca la serie di osservazioni dal 18 novembre al 1851 al 14 aprile 1852, dove si vedono le strutture dell’emisfero nord e il ritiro della calotta polare nord, e quella dal 22 agosto al 12 dicembre 1862. I migliori risultati li ottenne nell’opposizione del 1864, usando un rifrattore Cooke da 20 cm di apertura. Ottenne 16 disegni del diametro di 45 mm, con ingrandimenti 155, 350 e 407 (ma usualmente 258). Egli faceva dapprima disegni su pezzi di carta che poi tracciava sul suo giornale, e realizzò anche copie (molto fedeli) su modelli prestampati da inviare ai suoi corrispondenti. Tali modelli venivano forniti agli abbonati a Astronomical Register . vedere Flammarion ➤
Le osservazioni del 1864-65 furono oggetto della sola opera che abbia Dawes pubblicato su Marte [“On the Planet Mars”, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, 25 (1865) {A-0075.0025_.0008.18650609-0225_0228} p. 225-228 ➤, che tuttavia non contiene alcuna illustrazione! Per riparazione, furono pubblicati alcuni disegni nel Supplementary Number (vol. 25, tavole 2 e 3) ➤. Cos’era successo?
Dawes esibì 16 disegni in una relazione letta alla sessione della Royal Astronomical Society del 9 giugno 1865; il segretario Richard Hodgson gli chiese di lasciarglieli, in modo che lui e il presidente Warren De La Rue potessero scegliere quelli da stampare. Dawes avvertì che era solito consegnare delle copie, per non mettere in pericolo gli originali; abbandonò la riunione convinto che avrebbe ottenuto presto i disegni indietro in modo che potesse realizzare le copie per la stampa. Tuttavia, il giorno 11 luglio scrisse ad Hodgson: Non ho ancora saputo quale sarà il destino degli schizzi che accompagnavano il mio articolo… Il processo di stampa richiedeva l’applicazione di gomma sui disegni per impedire che si macchiassero e, siccome non erano stati fissati, Dawes temeva che potessero essre rovinati. Hodgson rispose che li aveva spediti a De La Rue, che glieli avrebbe ritornati subito; sei settimane dopo, Dawes stava ancora aspettando. Il 24 agosto scrisse a De La Rue, che gli rispose: Il signor Hodgson si sbaglia: i suoi schizzi di Marte non sono in mia custodia e non sono mai passati nelle mie mani e poi scrisse all’assistente segretario della RAS, John Williams, di assicurare che Hodgson aveva tenuto i disegni dopo la riunione di giugno e presumibilmente li aveva ancora.
Nel frattempo, il numero di giugno di MNRAS era uscito con l’articolo di Dawes, clamorosamente senza disegni, ma senza alcuna spiegazione dell’incidente. Dawes fu così costretto a sperare di riuscire a far comparire le illustrazioni nel Supplementary Number (pubblicato senza data dopo giugno e prima di novembre ogni anno, cioè fra le sessioni) e il 31 agosto scrisse ad Hodgson di richiedere la loro pronta restituzione in modo che potesse farne le copie: È già abbastanza imbarazzante che la descrizione dei disegni e i disegni stessi appaiano in numeri diversi del M.N.: ma sarebbe davvero assurdo se i disegni apparissero in un volume diverso!
Hodgson, tuttavia, non li aveva. Fortunatamente, dopo la sessione di giugno Dawes aveva fatto copie di tutti i disegni per l’amico John Phillips, e quindi glieli chiese in prestito. Siccome questo causava ulteriore ritardo, Dawes scrisse ad Arthur Cayley (allora Editore di Monthly Notices) il 22 settembre, spiegandogli la situazione e chiedendo che la pubblicazione del Supplementary Number fosse spostata in modo da poter inserire le illustrazioni: Sembra che il signor H. abbia perso l’intera serie; e dice che devono essere andate perse con la posta con cui le ha spedite, invece di consegnarle di persona al signor De La Rue, come si era impegnato a fare!
Otto illustrazioni vennero quindi inserite nel Supplementary Number, ma Dawes era irritato dalla perdita degli originali. Il lieto fine della storia fu data il 3 dicembre da un imbarazzato De La Rue, che annunciò a Dawes che
Frugando in un cassetto alla ricerca di alcuni documenti relativi alla Società Astronomica, mi sono imbattuto nel plico contenente i vostri disegni originali e la lettera del signor Hodgson. Come siano arrivati qui non lo so, perché non li ho mai visti prima di oggi. Presumo che la lettera sia stata aperta durante un’assenza di qualche giorno dalla città e messa al sicuro nel cassetto, che i miei familiari conoscono come uno contenente documenti relativi alla Società Astronomica. Ve li consegno immediatamente dopo il loro ritrovamento e, pur essendo lieto che siano arrivati in tempo per correggere le vostre bozze, sono estremamente irritato per il fatto di essere stato, pur essendo del tutto innocente da parte mia, causa di ansia e problemi, e chiedo vivamente una sentenza non severa.
I disegni di Dawes mostrano diversi dettagli identificabili, alcuni dei quali sono cambiati poco da quel tempo. Solis Lacus è piccolo ed ellittico e Syrtis Major appare nella sua forma classica: durante gli anni ’60 appariva con il prominente Moeris Lacus al suo lato est ed una lunga ‘coda’ curva (Nylosyrtis) a nord. Mare Acidalium è largamente nascosto nella cappa polare nord. Alcuni disegni hanno un aspetto striato, come la E di Hellas il 26 novembre 1864. In certi casi è probabilmente una licenza artistica – un tentativo di comunicare caratteristiche irregolari risolte imperfettamente. Percival Lowell commentò: Lo stesso Schiaparelli aveva evidenziato una simile visione preconscia dei canali nelle delicate pennellate di Dawes e nelle pennellate di Lockyer, Kaiser e Secchi, ora traducibili come rappresentanti il Phison, l’Eufrate e una mezza dozzina di altri canali visti in modo imperfetto. [P.Lowell, “Mars and Its canals” (New York, 1906) {B-0241.00_.1906} p. 249 ➤]. Più tardi Arthur Francis O&’Donel Alexander (1896-1971) scrisse: Sebbene alcuni dei canali più grandi e scuri fossero stati disegnati da osservatori precedenti, da Herschel a Dawes, l’annuncio della scoperta di molti canali più deboli fu accolto con scetticismo senza compromessi. [“Astronomy for Eveyman” (ed.M.Davidson), London 1953, p.33]
Alcuni disegni fornirono prove dell’esistenza di una atmosfera marziana. Secondo Dawes, le aree bianche sul disco erano nubi bianche o chiazze di ghiaccio. Egli era convinto che la tinta rossastra di Marte non deriva da alcuna particolarità nel colore dell’atmosfera del pianeta… [poiché] il rossore è sempre più intenso vicino al centro, dove lo strato atmosferico è più sottile, e le sue idee sull’atmosfera di Marte erano che Marte non ha solitamente un’atmosfera molto nuvolosa… la permanenza e la quasi uniforme distinzione delle caratteristiche principali in circostanze simili erano sorprendenti… le macchie bianchissime notate in alcune occasioni, che certamente davano l’impressione di masse di neve, o il riflesso dalle superfici superiori di masse di nuvole, costituivano l’unica spiegazione certa: – a meno che non includiamo il fatto piuttosto notevole, che la breve e piuttosto spessa linea scura chiaramente visibile vicino al Polo Nord il 14 novembre (ore 12), era invisibile il 12 novembre. Quest’ultima osservazione indubbiamente si riferisce al temporaneo scoperchiamento del cappuccio attorno al polo nord nella parte sud del Mare Acidalium.
Dawes tentò di misurare lo schiacciamento polare di Marte con un micrometro a doppia immagine, ma non riuscì a rilevarlo. I suoi disegni fornirono inoltre la prova di cambiamenti a lungo termine nelle macchie scure, secondo Flammarion. William Herbert Steavenson (1894-1975) ritenne che una striscia vista nella area Noachis da Dawes fosse la stessa di una struttura molto più larga e scura che lui stesso aveva osservato nell’opposizione 1928-29. I disegni hanno quindi un grande valore storico; secondo Flammarion, solo Kaiser può essere considerato paragonabile a Dawes nella meticolosità delle osservazioni.

l lavoro di Dawes fu molto apprezzato, tanto che nel 1867 un altro astronomo inglese, Richard Henry Proctor (1837-1888) decise che dai suoi disegni si sarebbe potuto trarre una nuova mappa del pianeta; usò anche altri disegni non pubblicati per coprire i dettagli dell’emisfero nord che non erano favorevolmente visibili durante l’opposizione del 1864. La mappa fu pubblicata per la prima volta in “Half-hours with the telescope; being a popular guide to the use of the telescope as a means of amusement and instruction” (1868) (sopra a sinistra). Dall’edizione del 1873 :
{B-0629.00_.1873} p. 83 ➤ Aggiungo una carta di Marte, una miniatura di una che ho preparato da una deliziosa serie di disegni fornitimi dal signor Dawes. Le vedute di questo celebre osservatore nel 1852, 1856, 1860, 1862 e 1864 sono di gran lunga migliori di qualsiasi altra io abbia mai visto. Le vedute di Beer e Madler sono buone, così come alcune di Secchi (anche se appaiono mal disegnate), di Nasmyth e di Phillips; anche le due vedute di De la Rue sono ammirevoli; e Lockyer ha fornito una serie di vedute migliori di tutte le altre. Ma c’è una quantità di dettagli nelle vedute del signor Dawes che le rende superiori a qualsiasi altra finora realizzata.
p. 84 ➤ Ho applicato alle diverse caratteristiche i nomi degli osservatori che hanno studiato le peculiarità fisiche di Marte. Il nome del signor Dawes ricorre naturalmente più frequentemente di altri. In effetti, se avessi seguito la regola di attribuire a ogni caratteristica il nome del suo scopritore, il nome del signor Dawes sarebbe comparso molto più frequentemente di quanto non accada in realtà.
La mappa riapparve, leggermente modificata, in altri suoi lavori: The Lands and Seas of Mars, from 27 Drawings of Dawes (1868), Other Worlds than Ours (London, 1870), p. 92, The Orbs around Us (London, 1872), frontespizio; Essays on Astronomy (London, 1872), p. 61; ecc. Intorno a quegli anni si pensava generalmente che le macchie scure di Marte fossero dei veri e propri mari; Proctor non esitò ad usare le parole ” seas” e “continents” e inoltre credeva nella loro realtà fisica; Marte mostrava nel modo più chiaro di essere adatto alle necessità degli esseri viventi come noi li conosciamo. Proctor per di più si sbilanciò a introdurre i nomi di astronomi. Prima di allora, nelle mappe erano apparse solo delle lettere dell’alfabeto; i dettagli più caratteristici erano chiamati in maniera ufficiosa con nomi informali, tipo: Hourglass Sea (Mare dell’orologio= Syrtis Major), Oculus (Occhio), ecc. Quella che Beer e Mädler avevano visto come una piccola macchia perfettamente rotonda (che avevano chiamato a) fu vista da W. de la Rue come puntuta e da Lockyer di forma allungata. Dawes, invece, la identificò come una baia con due forche, e la chiamò “Dawes Forked Bay”; fece passare il meridiano 0 vicino alle due forche.
C’è da dire che in “Old and New Astronomy” Proctor modificò la mappa tenendo conto delle osservazioni di Schiaparelli, e cambiò alcuni nomi. La prima parte del libro fu stampata nel 1888, e l’autore morì poco dopo. Nel 1892 uscì un’edizione {B-0126.00_.1892} ➤ ampliata da A. Cowper Ranyard con la mappa sopra a destra.
Le critiche non erano solo ispirate alla scelta della nomenclatura, ma anche alla scarsa qualità della mappa. Secondo Schiaparelli, essa è non solo molto inferiore a quella di Mädler e Kaiser, ma oltretutto non diede una accurata rappresentazione neppure delle osservazioni di Dawes stesso: “Osservazioni astronomiche e fisiche sull’asse di rotazione e sulla topografia del pianeta Marte,” Atti della Reale Accademia dei Lincei, Memoria 1, ser. 3, vol. 2 (1877-78) {B-0527.00_.1878} p. 402 ➤
Grazie al lavoro di Dawes, i contorni principali dei mari e continenti marziani erano stati delineati, e inoltre iniziavano ad essere discussi dettagli più fini, al limite della percezione. Per alcune, non tutte, delle estensioni puntute delle aree scure sembravano esserci prolungamenti in sottili strisce a forma di ciuffo, che impercettibilmente si dissolvevano ancora nelle larghe aree rossastre del pianeta; queste stesse, Secchi aveva notato, non erano uniformi ma sembravano essere riempiti di minuti dettagli, la cui natura era impossibile descrivere, o anche per l’immaginazione catturare: Memorie dell’Osservatorio del Collegio Romano (Roma, 1858), vol. 1, no. 3 {A-0668.0001_.0003.18590000-0017_0024} p. 22 ➤
Felix von Franzenau compì ottime osservazioni nel novembre 1864 all’Osservatorio di Vienna: “Mars im November 1864”, Sitzungsberichte der Mathematisch-Naturwissenschaftlichen Classe der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften , 51 Abt. II, Wien (1865) ➤ Flammarion ➤
Le osservazioni dei primi pionieri erano limitate dall’aberrazione cromatica e dalla diffrazione che affliggeva i loro strumenti. La diffrazione è una conseguenza della natura della luce; a causa di essa, il telescopio non forma l’immagine di una stella come un perfetto punto, bensì come un piccolo disco circondato da una serie di anelli. Più grande è l’apertura del telescopio, più piccola è la figura di diffrazione; se la distanza apparente fra due punti luminosi è paragonabile al limite di diffrazione, le due sorgenti formano una figura complessa, con i due dischi a contatto, o addirittura un’unica figura. In tal caso, si dice che il telescopio non è capace di “risolvere” i due punti; la minima distanza fra due punti risolti è detto “potere risolutivo” del telescopio (Dawes ricavò una formula empirica per calcolarlo).
La diffrazione limita le possibilità di discernere i dettagli di una superficie. Una sottile linea appare allargata in una banda di intensità decrescente ad ambo i lati. Se lo spessore della linea è inferiore ad un certo limite, il suo contrasto con lo sfondo è così limitato che l’occhio è incapace di scorgerla. L’unico rimedio per aumentare il potere risolutivo è aumentare l’apertura del telescopio. Chiaramente, qui parliamo delle prestazioni teoriche delle lenti; gli astronomi chiamano “seeing” il potere risolutivo reale ottenibile in un certo sito astronomico, che dipende dalle condizioni atmosferiche ed è molto peggiore di quello teorico. Già alla fine del 19° secolo, gli astronomi iniziarono a costruire i loro osservatori in luoghi sperduti e scomodi, ma dotati di un seeing più favorevole; l’avvento dell’astronautica ha consentito di compiere le osservazioni addirittura al di sopra dell’atmosfera. Infine, la recentissima tecnologia delle ottiche adattative (specchi che variano la loro forma per adattarsi alla turbolenza atmosferica) recentemente ha consentito di combattere il problema all’origine.
La storia delle osservazioni astronomiche mostra che ci possono essere dei brevi momenti in cui la visione al telescopio si presenta incredibilmente nitida; si tratta di occasioni particolarissime in cui, per un caso fortuito, la casuale combinazione delle rifrazioni del raggio di luce attraverso gli innumerevoli strati dell’atmosfera dà luogo ad una sovrapposizione quasi perfetta delle immagini tremolanti a cui gli astronomi sono abituati (e rassegnati). Per brevi momenti, l’immagine telescopica appare ferma, nitida e luminosa, e l’osservatore trattiene il respiro, per paura di rompere l’incantesimo. In questi momenti magici, l’atmosfera consente alle ottiche di lavorare vicino ai loro limiti; tuttavia, anche così, il potere risolutivo ottenuto può non essere sufficiente: l’unica soluzione è costruire obiettivi sempre più grandi.
Nel 1862, il rifrattore Clark da 47 cm del Dearborn Observatory (Chicago) era appena entrato in servizio, sorpassando quelo da 38 cm degli Osservatori di Harvard e Pulkovo. Nel 1870 fu eretto il telescopio Cooke da 63 cm dell’astronomo dilettante inglese Robert Stirling Newall (1812-1889) a Gateshead (Inghilterra); nel 1873 all’U.S.Naval Observatory di Washington fu installato un rifrattore Clark da 66 cm. Sfortunatamente, questi telescopi furono situati in luoghi logisticamente comodi, ma con scarso seeing; i più grandi rifrattori non riuscivano il più delle volte ad ottenere risultati migliori delle lenti da 30-40 cm. Dopo frustranti tentativi di usare il suo prestigioso strumento, Newall fu sconsolato. Da W. F. Denning, Telescopic Work for Starlight Evenings (London, 1891) {B-0630.00_.1891} p. 125 ➤ Il grande rifrattore Cooke da 24,8 pollici di apertura, montato da circa vent’anni a Gateshead, vanta un record singolarmente scarso. L’ambiente atmosferico circostante sembra averlo reso impotente. Il proprietario di questo strumento raffinato e costoso scrisse all’autore nel 1885: “L’atmosfera ha un ruolo immenso nella definizione. Ho avuto una sola bella notte dal 1870! Allora ho visto ciò che non ho più visto da allora”.
Comunque, siccome Secchi, Lockyer e Dawes avevano usato aperture inferiori a 25 cm, i nuovi grandi telescopi dell’ultimo quarto del 19° secolo – per quanto non valorizzati al meglio – non potevano non portare a sostanziali miglioramenti delle osservazioni di Marte. L’incantesimo prodotto da pianeta rosso andava aumentando; nonostante la precarietà delle osservazioni, alcuni si avventuravano in ipotesi affascinanti su quello che avveniva su Marte. Nel 1865 fu osservata una zona bianca nell’Oceano De la Rue (Mare Erythraeum). Non c’era, in quella macchia, nulla di stabile, tuttavia fu creduta un’alta montagna sorgente dalle acque e una sua visione ideale fu pubblicata da Camille Flammarion nell’opera Les terres du ciel (1877) {B-0092.00_.1884} p. 137 ➤. Si vede nell’incisione una gran cima conica, imbiancata dalle nevicate e incappucciata dalle nuvole, in un quadro reso vivente dalla rappresentazione dei marosi dell’oceano che si rompono in bianche creste schiumose contro neri scogli.
Il belga François Joseph Charles Terby (1846-1911) presentò all’Académie de Belgique molti disegni di Marte: 23 per 1864 e 1867, 36 per 1871, 12 per 1873 e 22 per 1875; Flammarion ➤. Per i disegni dell’inglese Charles Edward Burton (1846-1882) vedere Flammarion ➤. Nathaniel Everett Green (1823-1899) osservò Marte dal 16 al 30 maggio 1873, e in Astronomical Register, 11 (1873) {A-0178.0011_.0127.18730700-0179_0181} p. 179-181 ➤ diede una scelta di 6 disegni e una mappa (vedi articolo) tratta da essi. Flammarion ➤
Le osservazioni di Marte dell’opposizione 1873 compiute all’Osservatorio Harvard da Étienne Léopold Trouvelot (1827-1895) furono pubblicate in Annals of the Astronomical Observatory of Harvard College, 8, (1876): {A-0089.0008_.0000.18760000-0003_0008} introduzione ➤ , tavola ➤ . Flammarion ➤